Le spiagge italiane mostrano una domanda in calo e un’offerta di strutture obsolete, incapaci di dialogare con il paesaggio e le nuove pratiche di fruizione. Cinque linee progettuali emergono come chiave: ripensare le strutture permanenti, riorganizzare cabine e ombrelloni, armonizzare materiali e forme dei chioschi, reintrodurre vegetazione e valorizzare il rapporto tra spiaggia e territorio retrostante. L’obiettivo è costruire un paesaggio costiero sostenibile e inclusivo, dove architettura, natura e comunità coesistono e ridefiniscono il diritto all’ambiente.
Le località balneari italiane stanno superando i confini della stagionalità per assumere un ruolo urbano permanente. Non più semplici mete estive, ma paesaggi abitati e condivisi tutto l’anno, capaci di generare valore economico, culturale e sociale. Le spiagge diventano laboratori di innovazione, in cui comunità dinamiche sperimentano nuovi modelli di convivenza e uso dello spazio, oltre la zonizzazione tradizionale. In questo processo si afferma la “città di relazione”: un contesto flessibile, dove i luoghi non si consumano ma si rigenerano, adattandosi ai ritmi del vivere contemporaneo e aprendo scenari inediti per il futuro urbano.
Le spiagge italiane costituiscono un capitale pubblico strettamente intrecciato con infrastrutture private e con il sistema urbano. La riforma delle concessioni demaniali solleva questioni complesse di valore economico, interesse pubblico e tutela ambientale. La gestione delle spiagge richiede un progetto integrato che includa spazi pubblici, infrastrutture leggere, servizi e percorsi pedonali, considerando la fragilità ecologica e sociale delle coste e ridefinendo la relazione tra città, spiaggia e comunità.
Le coste italiane costituiscono un patrimonio pubblico fragile, intrecciato a infrastrutture urbane e attività economiche stagionali. Gli arenili sono concepiti come una “città metromarina” lineare, con spazi di svago, infrastrutture leggere e natura che convivono armoniosamente. Interventi architettonici e urbanistici ridefiniscono gerarchie, relazioni sociali e qualità dello spazio costiero, garantendo sostenibilità, sicurezza territoriale e coesione tra città, spiaggia e comunità.
La vicenda delle concessioni balneari, simile a quella delle quote latte, mostra come pressioni lobbistiche abbiano favorito l’elusione del diritto UE, ritardando riforme necessarie. Nonostante la direttiva Bolkestein imponga gare pubbliche, proroghe e resistenze hanno ostacolato concorrenza e modernizzazione del settore. Alcuni Comuni, come Jesolo sulla base della legge regionale 33/22 del Veneto,, hanno avviato procedure innovative premiando investimenti e sostenibilità, dimostrando che la competizione può favorire lo sviluppo di questo comparto del settore turistico
Il dibattito sulla “crisi del turismo balneare” spesso si riduce a slogan e narrazioni politiche, ignorando le reali trasformazioni del mercato. Il settore non è in recessione, ma in profondo riassestamento, tra nuove abitudini di consumo, digitalizzazione e necessità di branding. Per restare competitivo servono investimenti, innovazione e una visione condivisa pubblico-privato, superando nostalgie e resistenze.
In Italia, la maggior parte delle spiagge è trattata come una risorsa commerciale anziché come un bene pubblico. Questo approccio ha condotto a una massiccia privatizzazione delle spiagge, soprattutto nelle zone con alta domanda sociale. Inoltre, ha trasformato una questione legata alla gestione di beni collettivi in un dibattito incentrato sul rinnovo delle concessioni o sulle loro aste. La gestione delle spiagge dovrebbe invece prioritariamente rispondere alle necessità della società, garantendo l'accesso gratuito e considerando anche gli aspetti ecologici. Questo potrebbe essere realizzato tramite una graduale riduzione delle concessioni nelle regioni con elevata richiesta e una ridefinizione delle tariffe per assicurare l'accessibilità per tutti.
L’adeguamento dell’Italia alla direttiva Bolkestein sulle concessioni balneari arriva con forte ritardo, aprendo scenari complessi sul piano politico, economico e sociale. Le gare per il rinnovo delle concessioni rappresentano una sfida ma anche un’opportunità per integrare pianificazione pubblica e innovazione privata, ripensando le spiagge come servizio turistico ed ecosistemico, tra accessibilità, sostenibilità e tutela ambientale.
Il patrimonio culturale, se adeguatamente valorizzato, può rappresentare un motore di sviluppo locale. Mettere la cultura al centro di politiche dedicate allo sviluppo significa puntare ad investire sulle specificità locali, sulle potenzialità delle risorse territoriali, sulle conoscenze, le capacità e il capitale sociale allo scopo di stimolare creatività, innovazione e progresso sostenibile. Le potenzialità del patrimonio culturale sono molteplici, come le sfide da affrontare per garantire strategie di valorizzazione lungimiranti ed efficaci.
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La storia dell’ex Caserma Trieste racconta le politiche atte a riscattare quest’area abbandonata per farne un modello utile a realtà simili. Purtroppo, nel quadro geopolitico grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale italiano assume un nuovo ruolo e la retrocessione dei luoghi ex-militari alle comunità locali è più così certa.
In anni recenti molti esponenti del mondo accademico e tra i policy makers si sono schierati contro la narrazione dominante che le zone marginali siano destinate ad un inesorabile destino di abbandono e lenta scomparsa. Esistono in realtà alcuni territori, che abbiamo definito ‘vibranti’, capaci di resistere alla tendenza allo spopolamento adattandosi alla loro perifericità. Comprendere quali siano gli elementi esogeni, o quali le risorse endogene su cui hanno fatto perno, diviene un importante fattore di conoscenza per chi ha la responsabilità di proporre strumenti per promuovere la coesione territoriale e ridurre le disparità territoriali.
Durante la pandemia, il settore del turismo ha vissuto tre fasi: il fermo improvviso, poi un breve periodo nel quale ha considerato il lockdown come un’opportunità per riformarsi in maniera sostenibile, ed infine la ripartenza tornando a correre più veloce di prima, con un impatto spesso pesante e disomogeneo sui territori turistici. Oggi, al settore turistico italiano manca ancora quella capacità di governo e di coordinamento delle destinazioni che la complessità del prodotto turistico rende necessaria.