27 Luglio, 2024

Il turismo tra cambiamento e ritorno al passato

Tempo di lettura: 7 minuti

Il turismo rappresenta uno spaccato della società capitalistica globale almeno da quando si è imposto, alla metà del XX secolo, come fenomeno di massa. I viaggi internazionali, che erano 25,2 milioni nel 1951, sono cresciuti fino a 1,46 miliardi nel 2019, segnalando la forte integrazione economica del turismo a livello mondiale. È inoltre un settore che risponde in maniera intensa e immediata alle crisi politiche ed economiche (ad esempio, in Turchia gli arrivi internazionali sono diminuiti del 23% tra il 2015 e il 2016, l’anno segnato dal tentato golpe e dalla forte reazione autoritaria del regime). Infine, l’insieme delle attività turistiche influenza fortemente l’ambiente: a livello globale il settore è responsabile della produzione di circa l’8% della CO2 (Lenzen et al., 2018), ed è al contempo influenzato dagli eventi legati al cambiamento climatico (si pensi alla tragedia della Marmolada nell’estate 2022).

Per queste caratteristiche, il turismo può quindi essere un utile strumento di interpretazione degli effetti del COVID-19, anch’esso fenomeno globale e complesso. Nella sua evoluzione dal primo lockdown ad oggi il turismo percorre una parabola che abbraccia e abbandona le tre parole chiave di questo dibattito: sospensione, cambiamento, accelerazione.

Figura 1 – L’evoluzione del turismo internazionale (UNWTO, 2019)

Sospensione

Per fare turismo c’è bisogno di tre cose: tempo, reddito e libertà di movimento. Nel lockdown, le forti limitazioni alla libertà di movimento, e in parte anche la crisi reddituale causata dal fermo di molte attività produttive, hanno bloccato il settore. Non è sorprendente ricordare che nel mese di aprile del 2020 il mondo ha registrato il -96% di viaggi internazionali. In questa fase, non potendo viaggiare c’è stato quindi tempo per riflettere sulla pandemia come opportunità di ripensamento e ricostruzione del turismo in ottica di sostenibilità sociale e ambientale. Il primo documento importante prodotto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo durante il lockdown e pubblicato il 28 maggio 2020 si intitola Global Guidelines to Restart Tourism. In esso, il dibattito ruota attorno al dilemma reform v. recovery. E la bilancia, all’inizio, tende verso la riforma. Gradualmente, con la fine del lockdown e la riapertura, il focus si sposta dalla reform al recovery e gli obiettivi economici prendono il sopravvento su quelli sociali e ambientali.

Se ci concentriamo sull’Italia, quinta destinazione turistica al mondo, il turismo compone circa il 6% del PIL del 2019 (per un valore di 100 miliardi), che arrivavo a 160 miliardi includendo anche l’impatto economico indiretto del settore. Nel 2020 gli arrivi internazionali in Italia diminuiscono di oltre il 60% rispetto al 2019, mentre quelli domestici perdono solo il 40%, giocando il ruolo di parziale sostituto. Figini e Patuelli (2021) hanno stimato, incrociando i dati ufficiali dell’ultima Contabilità Satellite del Turismo prodotta dall’ISTAT con le tavole Input-Output dell’economia italiana, che il settore nel 2020 perde 42 miliardi di reddito, pari a circa il 2.3% del PIL 2019. In altre parole, sapendo che l’economia italiana si è contratta di circa l’8% nel 2020, il solo settore turistico può essere ritenuto responsabile di poco meno di un terzo della perdita complessiva del PIL. È proprio la profondità di questa crisi, e il conseguente forte impatto sul PIL italiano, ha reso prioritaria nel discorso pubblico la ripartenza rispetto alle riforme.

Cambiamento

Nel primo dibattito post-lockdown nell’estate del 2020, si ragionava sui cambiamenti strutturali che il turismo avrebbe accolto nel mondo post-pandemico. Molti di questi, oggi sappiamo, si sono sciolti velocemente come neve al sole, ad esempio:

  1. si parlava della sostituzione spaziale, con la crescita del turismo di prossimità e una rinnovata rilevanza del turismo domestico rispetto a quello internazionale, con evidenti squilibri che i territori maggiormente esposti al turismo incoming avrebbero dovuto subire. Il caos nei cieli e negli aeroporti europei ha mostrato che la voglia di viaggiare all’estero non è diminuita, anzi. Il turismo internazionale è tornato, limitato solo dai problemi organizzativi del sistema dei trasporti e dall’attuale crisi energetica;
  2. si parlava di sostituzione di attività, con la ricerca da parte dei turisti di luoghi meno affollati, con il recupero delle seconde case di famiglia (spesso localizzate in destinazioni obsolete e marginali, come quelle della media montagna appenninica) e lo spostamento delle preferenze verso attività maggiormente a contatto con la natura e con meno interazioni sociali. Invece, già l’estate del 2022 ha visto la ripresa di tutte le destinazioni turistiche tradizionali, in primis le grandi superstar, con l’overtourism che ha ripreso pesantemente la scena. L’immagine di Fig. 2, scattata in Piazza San Marco a Venezia alla sera di Venerdì 30 Aprile 2021, il primo weekend senza limitazioni di spostamento dopo il secondo lockdown, rimarrà quindi un unicum storico;
  3. si parlava di sostituzione nei mezzi di trasporto, con una minore preferenza verso i trasporti pubblici per diminuire i rischi legati ai contatti interpersonali e al contagio. Anche in questo caso, le grandi tendenze di lungo periodo sono rimaste invece pressoché inalterate.
Figura 2 – Piazza San Marco, Venezia, Venerdì 30 Aprile 2021 (fotografia dell’autore)

I cambiamenti strutturali che si stanno verificando sono invece due:

  1. le video conferenze si sono rivelate un sostituto perfetto (se non migliorativo) dell’incontro di lavoro, almeno per quanto riguarda le riunioni meno importanti, come quelle tra colleghi di uffici diversi e quelle bilaterali tra clienti e fornitori. Nel segmento business si continuerà a viaggiare, invece, solo per grandi e rilevanti eventi. Le agenzie che lavorano prevalentemente con le aziende e le destinazioni business ne usciranno quindi ridimensionate, e dovranno ristrutturarsi per far fronte alle mutate esigenze del segmento dei viaggi d’affari;
  2. il fenomeno della staycation prenderà sempre più spazio, facilitato dai cambiamenti tecnologici e organizzativi che permettono il lavoro da remoto. Fenomeni ancora di nicchia, come il sovrapporsi tra attività quotidiana di lavoro e di svago in luoghi diversi da quello di residenza, o lo spostamento della propria attività di lavoro in località diverse per periodi lunghi (ad esempio 4-6 mesi) diventeranno sempre più diffusi quando saranno pienamente accettati a livello sociale e aziendale, e quando l’evoluzione del mercato del lavoro e degli strumenti informatici lo permetteranno. Ovviamente, l’impatto di questo cambiamento sui territori e sull’organizzazione delle città e dei servizi che dovranno essere in grado di offrire sarà forte, con risvolti non banali.

Accelerazione

L’estate del 2022 ha visto la forte ripresa del turismo. In attesa dei dati ufficiali, molte destinazioni sembrano aver registrato presenze da record, in linea con il trend che si era interrotto nel 2019. Questa veloce ripresa non sorprende chi conosce il settore, perché il turismo non è più da tempo considerato un bene di lusso ma le persone amano viaggiare e, a seconda delle condizioni contingenti possono decidere ridurre i viaggi per mancanza di tempo (in caso di crisi economica), verso destinazioni diverse (in caso di crisi geo-politica) e adattarsi a nuove attività (in conseguenza della crisi climatica). Non rinunciano, però, a viaggiare.

La tendenza di lungo periodo del turismo è quindi la crescita e, considerando che oggi solo una parte minoritaria del mondo ha il denaro o il passaporto giusto per poter viaggiare, la vera sfida del post-pandemia è quella di riformare il turismo per renderlo sostenibile nel futuro: più accessibile, più democratico, meno inquinante e meno impattante sul clima. Per un territorio ricco di risorse naturali e culturali come l’Italia, sempre in testa alla lista delle destinazioni preferite, la sfida è quella di posizionarsi su un turismo di qualità alta, per aumentare la capacità di spesa dei turisti e non i numeri, visto l’attuale livello di affollamento di molte località.

Bisogna quindi puntare su un turismo auto-organizzato, non dipendente dai grandi operatori internazionali, in modo da valorizzare sia la produzione locale, che è quella ad alto valore aggiunto per il territorio, sia per promuovere i tanti bei luoghi diffusi nel paese, per combattere l’overtourism, sia per destagionalizzare e per rendere concreto il concetto di sostenibilità ambientale e sociale. Solo se le politiche del turismo andranno in questa direzione, la crescita economica potrà associarsi allo sviluppo del territorio e al rispetto dell’ambiente.

Ulteriori approfondimenti

  1. Lenzen M., Sun Y.Y, Faturay F., Ting Y.P., Geschke A., Malik A. (2018), The carbon footprint of global tourism. Nature Climate Change, 8, 6: 522-528 – https://doi.org/10.1038/s41558-018-0141-x.
  2. UNWTO (2022), Tourism statistics database. Madrid: United Nations World Tourism Organization – https://www.unwto.org/tourism-statistics-database.
  3. Figini P., Patuelli R. (2022), Estimating the economic impact of tourism in the European Union: review and computation. Journal of Travel Research, 61, 6: 1409-1423 – https://doi.org/10.1177/00472875211028322.

Articoli correlati

Ancora sull’autonomia differenziata. La nuova normativa e la legge 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale.

Il nuovo numero di DiTe riapre il dibattito sull'autonomia differenziata, dopo l'approvazione del disegno di legge 615. DiTe aveva già affrontato il tema nel numero del 5 marzo, ma ritorna sulla questione per evidenziare l'importanza del progetto riformatore e i suoi effetti potenziali. Il confronto tra la legge Calderoli del 2009 e la nuova normativa mostra tre punti chiave trascurati: autonomia tributaria, superamento della spesa storica e capacità fiscale regionale. La nuova legge, basata sulla compartecipazione ai tributi, è criticata per la mancanza di coerenza e per ignorare la necessità di perequazione e rafforzamento dell'autonomia tributaria.

L’autonomia regionale differenziata è una secessione dei ricchi

L’autonomia differenziata configura una autentica “secessione dei ricchi” perché amplifica enormemente i poteri delle Regioni, pregiudicando disegno e attuazione delle politiche pubbliche nazionali e ampliando le disuguaglianze territoriali. Il trasferimento delle risorse alle Regioni è definito da commissioni stato-regione privando il Parlamento delle proprie potestà.

Storia e Cronistoria del DdL Calderoli

Il disegno di legge Calderoli all’esame del Parlamento stabilisce, tra l’altro, che l’attuazione dell’autonomia per tutte le funzioni che prevedono il rispetto dei LEP non possono essere oggetto di intesa se non dopo la loro definizione e ciò, di fatto, “costituzionalizza” gli squilibri distributivi nella ripartizione della spesa tra le regioni, penalizzando in particolare quelle meridionali.

L’equivoco dei residui fiscali tra spesa storica e suggestioni autonomistiche

I residui fiscali, lungi dall’essere “impropri e parassitari” non sono altro che la conseguenza della necessità di garantire l’attuazione del principio di equità: dai dati si evince che tale principio, complice il meccanismo del criterio della spesa storica, è lungi dall’essere rispettato.

L’autonomia differenziata, la proposta del Disegno di Legge

Il modello federalista si basa su due principi cardine: l’equa soddisfazione dei bisogni sul territorio e la responsabilità fiscale degli enti decentrati. Il processo di autonomia proposto fa perno invece sui trasferimenti, con l’impoverimento dell’autonomia fiscale regionale e una scarsa attenzione per la necessaria perequazione