27 Luglio, 2024

L’equivoco dei residui fiscali tra spesa storica e suggestioni autonomistiche

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Fin dall’inizio e tanto più oggi, le richieste di autonomia ex art.116 terzo comma della Costituzione avanzate dalle regioni più forti del Paese (in primis Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) hanno rivendicato al territorio la titolarità del residuo fiscale (inteso come la differenza tra le entrate fiscali e la spesa pubblica erogata). Il “residuo” diviene la misura dell’ingiustizia subita che va a finanziare gli sprechi delle Pubbliche Amministrazioni delle Regioni beneficiarie.

Tutto ciò alimenta un dibattito surreale dove dovrebbe essere evidente che, lungi dall’essere “impropri e parassitari”, questi flussi finanziari in un sistema strutturalmente dualistico sono l’ovvia conseguenza dell’esigenza di garantire l’attuazione del principio di equità proprio del federalismo “liberale alla Buchanan” per il quale, a fronte di identici doveri, c’è – o dovrebbe esserci– un pari accesso a basilari servizi pubblici (difesa, istruzione, giustizia, sanità), indipendentemente dal censo e dalla residenza.

Nella misura in cui questo principio è correttamente applicato nell’ambito di un territorio è infondata la tesi dell’illegittimità di questi trasferimenti e, di conseguenza, il preteso diritto alla loro restituzione ai territori. 

Naturalmente non si vuole negare che trasferimenti, legittimi per quanto appena detto, possano essere utilizzati in modo inefficiente: si configura un problema di primaria rilevanza che tuttavia non legittima la pretesa di risolvere la questione dell’efficienza con la scorciatoia della “restituzione”. 

E’ inoltre opportuno approfondire l’analisi sulla effettiva consistenza dei residui fiscali oggetto del contendere. Essi sono certificati dalla banca dati dei Conti Pubblici Territoriali che ricostruisce i flussi di spesa e di entrata a livello regionale degli enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione (PA), pervenendo alla costruzione di conti consolidati per ciascuna regione italiana. Si tratta di dati finanziari di cassa; in questa sede si considera l’aggregato costituito dal complesso degli enti appartenenti alla PA (Chieffi, Lopes, Scalera, Staiano, 2023).

Utilizzando questa banca dati si possono calcolare i cosiddetti Residui Fiscali Primari (RFP) – differenza tra entrate erariali e spesa pubblica in un territorio al netto della spesa per interessi sul debito pubblico. I segni di queste grandezze riferiti alle singole regioni non possono sorprendere: il prelievo fiscale è correlato (in regime di imposta progressiva) al reddito e quindi al livello di sviluppo di un’area, sicché esso è strutturalmente più elevato nelle regioni centro-settentrionali. D’altra parte, la spesa pubblica primaria tende a una più uniforme distribuzione sul territorio nazionale, non fosse altro per assicurare ai cittadini il rispetto (del tutto teorico, come si vedrà tra breve) del dettato costituzionale che all’art. 117 della Costituzione stabilisce il finanziamento integrale del livello di servizi pubblici essenziali da fornire a ogni cittadino.

Quindi si realizza in automatico una (limitata) azione perequativa in presenza dei divari economici territoriali: infatti, osservando i dati espressi a prezzi 2015, si vede che tra il 2000 e il 2018 i RFP sono di segno positivo per le regioni del Centro-Nord presentando un andamento sostanzialmente stabile intorno ai 130 miliardi di euro annui; la stessa tendenza emerge per Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia, le prime due hanno un RFP che oscilla intorno ai 20 miliardi annui, mentre la Lombardia si posiziona intorno ai 65 miliardi. Specularmente quanto a segno, ma in misura molto più contenuta per consistenza, il Mezzogiorno esibisce un RFP di segno negativo con un andamento più oscillante intorno ai 37 miliardi annui; la più importante regione meridionale, la Campania, presenta un RFP tendenzialmente declinante che si aggira sui 6,5 miliardi; si noti poi che, nonostante il segno, il confronto Nord-Sud ridimensiona di molto la dimensione di quanto viene rivendicato visto che del presunto residuo quello destinato a colmare le esigenze di “altre” entità territoriali oscilla intorno al 28% dei residui del Centro-Nord.

Contrariamente alla vulgata in auge, la voragine del Sud palla al piede del Nord produttivo scompare; emerge invece il “reale” conflitto tra il Nord e lo Stato Centrale per il finanziamento dei suoi ruoli e funzioni nazionali che assume le forme di un conflitto che altro non è che la volontà di affrancarsi dal sistema di governo nazionale. 

Come si è detto, il fondamento “concettuale” del residuo fiscale è unicamente da ricercare nell’esigenza di perequare la distribuzione tra individui che si determina: i) sulla base del reddito (per garantire a tutti l’accesso ai servizi essenziali), ii) sulla base dell’età e della condizione lavorativa attraverso il sistema della previdenza sociale, iii) sulla base della perequazione delle opportunità di sviluppo dei territori di residenza (comma quinto dell’art. 119 della Costituzione). In presenza di forti differenziazioni regionali di reddito (e di basi imponibili), di struttura per età della popolazione e di opportunità di sviluppo, la redistribuzione interpersonale si traduce automaticamente in flussi finanziari interregionali. 

E’ evidente che la perequazione attuata attraverso il trasferimento di parte o di tutto il RFP non è tra Regioni, come sosterrebbero i difensori della tesi della “restituzione”, ma tra cittadini poiché, ai fini della perequazione, è lo Stato che raccoglie le imposte pagate dai contribuenti con redditi più elevati presenti in ciascuna regione del Paese e le redistribuisce per finanziare programmi di spesa a favore dei cittadini con redditi più bassi presenti sia nella stessa regione sia su tutto il territorio nazionale.

In definitiva i “ricchi” della Lombardia “mantengono” i “poveri” presenti nella propria regione e quelli presenti in altre, esattamente come i “ricchi” della Campania “mantengono” i poveri delle due Regioni. A questo punto ci si può interrogare se l’azione redistributiva che dà origine ai residui così calcolati svolga efficacemente la sua funzione perequativa.

Per tentare di rispondere a questo interrogativo si è considerato l’andamento della spesa pro capite della PA a prezzi 2015 nelle due circoscrizioni: dai dati si evince che tra il 2000 e il 2018 la PA ha erogato annualmente circa 3000 euro in più a residenti nelle regioni centro-settentrionali rispetto a quanto erogato ai residenti nelle regioni meridionali; è evidente che questo divario preclude significativi processi di riequilibrio in termini di spesa e di servizi tra le due aree del Paese senza intaccare i livelli conseguiti nella parte “forte” del sistema in virtù del noto criterio della spesa storica. L’esplorazione del residuo fiscale, lungi dal legittimare pretese di restituzione, porta alla luce un macroscopico e consolidato “debito perequativo” di chi invece chiede “restituzioni a sanatoria di presunte ingiustizie fiscali”, un debito che – complice l’inossidabile criterio della spesa storica territoriale, anno dopo anno, alimenta il divario nei diritti di cittadinanza in evidente violazione del dettato costituzionale. Non è quindi un caso che al comma 2 dell’art. 4 del disegno di legge presentato dal Governo il 15 marzo scorso finalizzato alla realizzazione dell’autonomia ed ora all’esame del Parlamento, consente la stipula immediata di intese tra le Regioni richiedenti e lo Stato concernenti le altre materie concorrenti che non richiedono la definizione dei LEP (aspetta e spera!) elencate all’art. 117 e il trasferimento di tutte quelle funzioni “[…[con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie[…]effettuato[…]nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente all’entrata in vigore della presente legge”; con il che si “costituzionalizza” di fatto per quelle funzioni il criterio della “spesa storica” nella assegnazione delle risorse e la perpetuazione dei divari.

Ulteriori approfondimenti
Chieffi Lopes Scalera Staiano (2023) Regionalismo differenziato. Razionalizzazione o dissoluzione. Una ricerca delle Università della Campania.pdf (unior.it)

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