27 Luglio, 2024

Norme e uso degli spazi nel post pandemia

Tempo di lettura: 6 minuti

La pandemia da Covid 19 ci ha lasciato in eredità diverse questioni su cui è utile e sarà utile confrontarsi nei mesi e negli anni a venire. A valle di un periodo contraddistinto da reazioni rapide in ambito di policy e di decisione pubblica (in campo sanitario, economico, scolastico e lavorativo) e, successivamente, anche di numerose elaborazioni e riflessioni nel campo della ricerca e del dibattito scientifico, oggi dobbiamo fare i conti con la sfaccettata eredità della fortissima accelerazione impressa dalla pandemia a una serie di fenomeni e tendenze già in corso.

La ormai vasta riflessione collettiva sulla pandemia e i suoi effetti in termini di policy si è interrogata molto sulle dinamiche di continuità e discontinuità con le tendenze del periodo pre-pandemico che guardando a possibili evoluzioni future. Alcuni hanno sottolineato come l’unicità di un fenomeno come la pandemia globale, che ha costretto quasi tutti i governi del mondo a proporre misure mai viste prima, in termini di restrizioni al movimento prima, e di vaccinazioni di massa e forme di ristoro e rilancio economico poi, non abbia paragoni, e costituisca quindi un interessante campo di analisi perché ha costituito senz’altro una rottura con il passato. Altri, al contrario, sottolineano come alcune linee di tendenza (in particolare, per quanto riguarda l’utilizzo diffuso delle tecnologie digitali, il lavoro a distanza, forme di controllo e sorveglianza della popolazione, …), fossero già in corso da tempo, in alcuni casi sottotraccia, e che quindi la pandemia e le restrizioni a essa collegate abbiano di fatto agito da acceleratore, e, in alcuni casi, da meccanismo di disvelamento, di processi strutturali in atto da tempo.

In queste note vorrei riflettere brevemente su alcune dinamiche di continuità e discontinuità, assumendo due differenti punti di vista, che hanno entrambi a che vedere con la dimensione spaziale e territoriale. La natura delle decisioni che riguardano lo spazio (e gli spazi) sono infatti utili per comprendere le risposte individuali e collettive di fronte a situazioni di difficoltà e a dilemmi decisionali. Il primo ambito di riflessione riguarda le forme di regolazione e le norme con cui le amministrazioni, nazionali e locali, hanno dato risposte nelle prime settimane emergenziali e nei successivi mesi di progressivo, e non lineare, ritorno alla normalità. Il secondo ambito, più specifico, riguarda invece le geografie emergenti del lavoro e della residenza, che, pur con contorni ancora molto incerti, sembrano delinearsi.

Figura 1 – Cartello di chiusura attività durante il lockdown

Per il primo aspetto, la necessità di regolare, in modo inaspettato ed emergenziale, i comportamenti delle persone e lo svolgimento delle attività, in particolar modo nei momenti iniziali e più gravi della diffusione della pandemia, ha messo in luce alcune scelte, apparentemente di forte discontinuità: ad esempio, la scelta, senza precedenti, di limitare fortemente la libertà di movimento dei cittadini e di porre restrizioni funzionali, operative e fisiche alle attività economiche. Se questa regolazione di emergenza non può che essere vista come una forte discontinuità rispetto al passato (nei mesi più pesanti della pandemia i media non hanno mancato di sottolineare come misure di una simile gravità non fossero state assunte da molti decenni nel nostro Paese), d’altro canto la capacità di governare un fenomeno inaspettato e di vasta portata, e di prendere quindi decisioni pertinenti è fortemente correlata con la capacità istituzionale e amministrativa pregressa. Nel nostro Paese, e non solo, più che la discontinuità decisionale di fronte a una situazione senza precedenti, abbiamo invece potuto vedere come la scarsa capacità istituzionale e di governo di fenomeni complessi, che contraddistingue da lungo tempo molti ambiti di politica pubblica, abbia determinato la qualità della risposta.

Per il secondo aspetto, abbiamo a che fare con un fenomeno di scala e portata ampiamente superiori alla fase di emergenza pandemica, e i cui contorni avevano in effetti iniziato a delinearsi già nel corso degli ultimi anni. La diffusione delle tecnologie digitali da un lato, e forme di riorganizzazione del lavoro legate all’economia della conoscenza dall’altro avevano da tempo iniziato a rendere più fluida e meno rigida la relazione tra lavoratori e luoghi di lavoro, pur con molte, significative, differenze dovute al settore, alla mansione, al livello di formazione, al genere e all’età dei lavoratori. Lo scardinamento della relazione biunivoca tra lavoratore e sede di lavoro aveva iniziato a diffondersi per i lavoratori della conoscenza (in particolare quelli impiegati nelle produzioni culturali e creative) nelle città e nelle aree metropolitane globali, portando alla diffusione di nuovi luoghi di lavoro, e, più in generale, a un allentamento del radicamento in specifici contesti territoriali.

La pandemia da Covid-19, come sappiamo, ha impresso una fortissima accelerazione a questa tendenza, agendo, in modo non necessariamente simultaneo, su diversi livelli e ambiti: la sperimentazione della possibilità di lavoro da remoto per una porzione molto più ampia di lavoratori, non solo digitali, creativi e giovani ha costituito un primo fattore di cambiamento. Allo stesso tempo, il lungo momento di sospensione legato alle restrizioni pandemiche ha innescato in molte persone un desiderio di focalizzarsi maggiormente su aspetti della vita non direttamente correlati con la dimensione lavorativa, portando quote crescenti della popolazione a percepire una differente relazione tra tempi e luoghi, di vita e di lavoro.

Tutto questo sta portando a un progressivo ridisegno delle forme di concentrazione e diffusione delle geografie del lavoro e quindi della residenza, sul territorio italiano, pur a fronte di significative spinte a ripristinare lo status quo. La scelta di trascorrere più tempo al di fuori delle principali città, forme di bi- o multi-residenzialità, il rientro più o meno temporaneo verso le zone d’origine, una differente fruizione delle aree turistiche e del vasto patrimonio di seconde case sottoutilizzate sembrano delineare infatti geografie differenti dal passato, anche se vi sono ancora pochi elementi per poter correttamente interpretare linee di tendenza di lungo periodo.

Dall’intreccio di continuità e discontinuità, e dalla lettura di queste dinamiche nello spazio, negli spazi e nei territori della vita quotidiana, emergono quindi molte domande per il futuro. Da un lato, dobbiamo chiederci come rafforzare le capacità di governo, non solo in caso di fenomeni inaspettati e potenzialmente devastanti, ma soprattutto nella quotidianità delle scelte che riguardano le città e i territori; dall’altro, immaginare modi in cui apprendere dall’eccezionalità dell’evento pandemico, e rendere permanenti competenze e conquiste acquisite, in modo da diffonderne al massimo i potenziali benefici, senza creare ulteriori fratture e fragilità, o approfondire dinamiche di diseguaglianza già in atto.

Articoli correlati

Ancora sull’autonomia differenziata. La nuova normativa e la legge 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale.

Il nuovo numero di DiTe riapre il dibattito sull'autonomia differenziata, dopo l'approvazione del disegno di legge 615. DiTe aveva già affrontato il tema nel numero del 5 marzo, ma ritorna sulla questione per evidenziare l'importanza del progetto riformatore e i suoi effetti potenziali. Il confronto tra la legge Calderoli del 2009 e la nuova normativa mostra tre punti chiave trascurati: autonomia tributaria, superamento della spesa storica e capacità fiscale regionale. La nuova legge, basata sulla compartecipazione ai tributi, è criticata per la mancanza di coerenza e per ignorare la necessità di perequazione e rafforzamento dell'autonomia tributaria.

L’autonomia regionale differenziata è una secessione dei ricchi

L’autonomia differenziata configura una autentica “secessione dei ricchi” perché amplifica enormemente i poteri delle Regioni, pregiudicando disegno e attuazione delle politiche pubbliche nazionali e ampliando le disuguaglianze territoriali. Il trasferimento delle risorse alle Regioni è definito da commissioni stato-regione privando il Parlamento delle proprie potestà.

Storia e Cronistoria del DdL Calderoli

Il disegno di legge Calderoli all’esame del Parlamento stabilisce, tra l’altro, che l’attuazione dell’autonomia per tutte le funzioni che prevedono il rispetto dei LEP non possono essere oggetto di intesa se non dopo la loro definizione e ciò, di fatto, “costituzionalizza” gli squilibri distributivi nella ripartizione della spesa tra le regioni, penalizzando in particolare quelle meridionali.

L’equivoco dei residui fiscali tra spesa storica e suggestioni autonomistiche

I residui fiscali, lungi dall’essere “impropri e parassitari” non sono altro che la conseguenza della necessità di garantire l’attuazione del principio di equità: dai dati si evince che tale principio, complice il meccanismo del criterio della spesa storica, è lungi dall’essere rispettato.

L’autonomia differenziata, la proposta del Disegno di Legge

Il modello federalista si basa su due principi cardine: l’equa soddisfazione dei bisogni sul territorio e la responsabilità fiscale degli enti decentrati. Il processo di autonomia proposto fa perno invece sui trasferimenti, con l’impoverimento dell’autonomia fiscale regionale e una scarsa attenzione per la necessaria perequazione