13 Dicembre, 2024

La concorrenza arriva sulle spiagge. In gara le concessioni demaniali marittime

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1. Un esito scontato

“Il re è nudo !”. Come nella celebre favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen, ci voleva l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le due sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 per accendere la luce e far vedere “l’elefante nella stanza”, come direbbero gli inglesi, reagendo alla cecità voluta di fronte ad una verità nota a tutti.

Chi mostra stupore per queste sentenze evidentemente ignora quei princìpi fondamentali del diritto unionale di cui il giudice amministrativo ha fatto piana applicazione, come la supremazia del diritto dell’Unione europea sul diritto interno degli Stati membri e l’obbligo di tutte le autorità nazionali di applicare immediatamente le regole europee dotate di efficacia diretta, disapplicando eventuali disposizioni nazionali confliggenti. Ignora anche la posizione assunta, prima, dalla Commissione in vari giudizi di infrazione avviati contro l’Italia, poi, dalla Corte di giustizia nella sentenza “Promoimpresa” del 2016, nel senso che i principi di libera prestazione dei servizi e libertà di stabilimento e le regole attuative fissate dalla direttiva “servizi” del 2006 estendono la liberalizzazione anche al mondo delle concessioni  demaniali marittime a finalità turistico-ricreative.

Il legislatore italiano si è adeguato solo perché costretto, lentamente, poco e male: prima, per sopprimere la regola che privilegiava il gestore uscente (c.d. “diritto di incolato”) in sede di rinnovo delle concessioni; poi, nel 2011, per abrogare la disposizione che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni scadute, ma contemporaneamente concedere la proroga fino al 2015 delle concessioni scadute o in scadenza; ancora, nel 2012, per estendere la proroga al 31 dicembre 2020; poi ancora, nel 2016, per far salvi tutti i rapporti in corso in attesa di un riordino normativo; e poi ancora, nel 2018, per una nuova proroga nientepopodimeno che fino a tutto il 2033.

C’è davvero da sorprendersi se la giurisprudenza italiana quasi unanime, fino all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ha ritenuto che questa situazione fosse insostenibile ed esponesse l’Italia a responsabilità certa nei confronti dell’Unione europea per violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione, col rischio oltretutto di pesantissime sanzioni anche pecuniarie a carico del bilancio nazionale ?

2. La “realpolitik” del giudice amministrativo e le direttive per il riordino normativo e le prossime gare

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha comunque tenuto conto dei problemi di politica economica e sociale derivanti dal blocco immediato delle concessioni e – con una forzatura giuridica – ha differito essa stessa a fine 2023 la scadenza delle concessioni, motivandolo con l’esigenza di dare tempo al Governo per riordinare la normativa e ai Comuni per espletare le procedure di gara senza alcuna interruzione del servizio. Ha fatto di più, dando un … “aiutino” a Governo e Parlamento per l’auspicato riordino normativo, utile anche ai Comuni ove siano costretti a fare da sé con regolamenti e bandi di gara rispettosi del diritto UE. 

I suggerimenti aprono spazi per valorizzare la capacità tecnica, professionale, finanziaria degli operatori, compreso il loro know how, e pure per obiettivi di politica sociale, di protezione dell’ambiente, di salvaguardia del patrimonio culturale. E’ escluso però che la tutela del legittimo affidamento dei concessionari uscenti consenta indennizzi generalizzati al di fuori di una valutazione caso per caso. Interessante è pure il riconoscimento della possibilità di tenere conto “della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale”. Non manca “l’auspicio” che la misura dei canoni concessori non sia – come fino ad oggi – predeterminata e irrisoria ma sia uno dei criteri di gara così da sfruttare l’effettivo valore dei beni demaniali a vantaggio dello Stato.

L’intervento di riordino legislativo spetta allo Stato, non alle Regioni che in effetti sono intervenute solo per i dettagli, per organizzare l’esercizio delle funzioni amministrative trasferite loro dallo Stato nel settore del turismo. Pertanto, anche le normative regionali appaiono oggi inadeguate a garantire il rispetto del diritto UE e sono quindi in parte inapplicabili o perlomeno da integrare secondo le indicazioni ricavabili dal diritto UE.

3. Pianificazione pubblica e innovazione privata nell’uso degli arenili

I concessionari degli arenili devono attenersi, oltre che ai regolamenti comunali d’uso del demanio, anche alla normativa sul buon governo del territorio. La Regione Veneto ha dettato direttive per una specifica pianificazione urbanistica particolareggiata degli arenili, per garantire un’adeguata dotazione di servizi pubblici e spazi di transito in condizioni di sicurezza e di tutela dell’ambiente. Un ulteriore controllo pubblicistico è svolto dal Ministero della Cultura, trattandosi di aree soggette anche a vincolo paesaggistico.

Questo assetto regolamentare, rigido nel tempo e puntiglioso nei dettagli, è molto condizionato da modelli d’uso tradizionali e appare oggi anelastico e talora anacronistico di fronte all’incalzare dell’innovazione e di nuove tecnologie, con turisti abituati ormai a scegliere fra lidi di tutto il mondo per attrattività e dotazione di servizi. E’ forse il caso di interrogarsi sull’opportunità di ampliare, nelle prossime gare, gli spazi lasciati ai concorrenti per proporre nuove idee e nuove soluzioni sul futuro aspetto degli arenili, per contribuire alla competitività internazionale delle spiagge italiane.

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