28 Aprile, 2024

Territorio e innovazione

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Il pensiero di Roberto Camagni è sempre stato caratterizzato da una forte apertura alle altre discipline in ambito economico e agli studi del territorio. La sua curiosità intellettuale e scientifica si è sposata anche con una grande capacità di ibridazione, una combinazione che ha permesso a Roberto di affrontare numerosi argomenti all’intersezione tra approcci concettuali e stili di ricerca talvolta anche abbastanza lontani. Tra questi, sicuramente, lo studio del ruolo del territorio nei processi di innovazione ha rappresentato una delle linee di ricerca che Roberto ha coltivato maggiormente, e con grande successo, lungo tutta la sua carriera.
Seppur personalmente poco incline alle etichettature e alle barriere tra pensieri, è possibile avvicinare il lavoro di Roberto alla tradizione Schumpeteriana degli studi di innovazione, che propongono l’endogeneità dei processi di trasformazione tecnologica, superando la visione (prevalente almeno fino a gran parte degli anni ‘80) del progresso tecnologico come un elemento esogeno nella funzione di produzione sia livello di impresa che a livello macroeconomico e territoriale. Il contributo principale di Roberto, assolutamente originale per il momento in cui è maturata la sua riflessione, ma tuttora ancora valido, è stato quello di sottolineare come il territorio, e le economie di localizzazione e urbanizzazione, rappresentino una delle leve principali attraverso cui questi meccanismi endogeni si realizzano, dando quindi origine a una distribuzione territoriale molto asimmetrica delle attività innovative come anche dei vantaggi economici che ne derivano.
Il concetto di milieu innovateur, sviluppato nel fertile gruppo di lavoro italo-francese GREMI (Groupe de Recherche Européen sur les Milieux Innovateurs), che Roberto ha lungamente ispirato e presieduto a partire dal 1987, rappresenta il cuore del pensiero di Roberto sulla relazione tra territorio e innovazione. Il territorio è per Roberto infatti fonte di innovazione, perché permette, attraverso le relazioni formali e informali, che si innestano sul e si alimentano nel territorio, la creazione di economie di apprendimento e garantisce efficienza dinamica. Apprendimento collettivo e socializzazione della conoscenza, resi possibili dalla presenza di relazioni territoriali ripetute e consolidate nel tempo, basate sulla fiducia, che coinvolgono fornitori e clienti, ma anche attori pubblici e privati, sono alla base della capacità innovativa dei territori e ne determinano il successo economico. Le reti di relazioni, che si sviluppano sia all’interno dei territori che tra territori risultano fondamentali per i processi creativi e di diffusione della nuova conoscenza (Camagni, 1995). Roberto è stato tra i primi a riconoscere il ruolo cruciale delle relazioni sviluppate attraverso la mobilità del lavoro tra imprese, nello scambio tra clienti e fornitori, tra partner nei progetti di ricerca, anticipando già nel 1991 con il famoso libro Innovation Networks, un intero filone di ricerca che ha vissuto un grande successo durante i 20 anni successivi, sia negli studi di economia regionale, specialmente nell’approccio dei sistemi regionali di innovazione, che negli studi di economia industriale e dell’innovazione.
La validità e il potere esplicativo di questo approccio sono confermati dal fatto che tutta la letteratura di inizio anni 2000 sulla definizione e misurazione delle economie di agglomerazione enfatizza il ruolo delle economie di apprendimento come uno delle tre forme principali di economie di urbanizzazione. Roberto stesso, nei suoi lavori, ha più volte sottolineato la dimensione urbana, se non metropolitana, dei processi di creazione di conoscenza e di innovazione. La città, infatti, rappresenta per definizione un milieu favorevole alla creazione di conoscenza e alla diffusione dell’innovazione, data la compresenza in ambito urbano delle funzioni preposte allo sviluppo di nuove idee, in primis centri di ricerca e università, il maggior grado di imprenditorialità e la presenza di un mercato del lavoro più qualificato e diversificato che ne facilitano la diffusione e l’adattamento nel tessuto produttivo locale.
L’eredità scientifica dell’approccio del milieu innovateur ha ispirato anche lavori successivi sui processi territoriali di innovazione che Roberto ha condotto negli ultimi anni della sua carriera, contribuendo all’elaborazione di un nuovo framework concettuale, i modelli territoriali di innovazione. Superando la dicotomia tra milieu innovateurs e territori non innovativi, ed elaborando sulla differenza di derivazione Schumpeteriana tra conoscenza, invenzione e innovazione, Roberto ha contribuito a spiegare l’eterogeneità dei territori nel proprio potenziale di innovazione e, conseguentemente, di sviluppo. Se alcuni territori godono di infrastrutture e potenzialità per poter diventare degli hub di conoscenza, anche a livello globale, altri invece possono contare su forme di conoscenza più soft, creatività e imprenditorialità per poter adattare le conoscenze scientifiche e tecnologiche sviluppate altrove introducendo innovazioni, anche adatte al contesto internazionale in cui operano, o più semplicemente ad imitare in modo creativo adattano le innovazioni al contesto locale. Modelli territoriali di innovazione, considerati tradizionalmente meno avanzati sotto il profilo tecnologico, non rappresentano necessariamente degli handicap allo sviluppo ma riflettono diverse dotazioni di capitale territoriale, ed opportunamente stimolati possono generare crescita tanto quanto modelli di innovazione strettamente legati alla pura ricerca scientifica.
Da questo nuovo framework concettuale, Roberto ha saputo trarre importanti conclusioni di politica di innovazione e regionale, contribuendo a un dibattito molto vivo nato in concomitanza con la formulazione e l’implementazione della strategia di specializzazione intelligente che ha caratterizzato la riforma della politica regionale europea a partire dal periodo di programmazione 2014-2020 (Camagni e Capello, 2013). Roberto, in particolare, ha ricordato come strategie regionali universali, specialmente se guidate da un’esclusiva connotazione settoriale, siano difficilmente applicabili e, in generale, inefficaci sia nello stimolare la capacità innovativa che lo sviluppo regionale, mentre invece la valorizzazione del potenziale innovativo locale richiede la capacità di calibrare e mirare le politiche di innovazione e modernizzazione in base al modello innovativo di ciascuno territorio (Camagni et al., 2014). Questo messaggio si rivela di particolare attualità in un momento come questo, caratterizzato dalle profonde trasformazioni tecnologiche dovute all’accelerazione nei processi di automazione e digitalizzazione, e richiama l’attenzione sulla necessità di un adattamento delle politiche attualmente in discussione, anche a livello europeo, alle diverse necessità dei territori.

Ulteriori approfondimenti

  • Camagni R. (1995), The concept of innovative milieu ad its relevance for public policies in European lagging regions. Papers in regional science, 74, 4: 317-340.
  • Camagni R., Capello R. (2013), Regional Innovation Patterns and the EU Regional Policy Reform: Toward Smart Innovation Policies. Growth and Change, 44, 2: 355-389.
  • Camagni R., Capello R., Lenzi C. (2014), A territorial taxonomy of innovative regions and the European regional policy reform: smart innovation policies. Scienze Regionali – Italian Journal of Regional Science, 13, 1: 69:105.

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