20 Settembre, 2024

Un nuovo protagonismo dell’edilizia residenziale pubblica

Tempo di lettura: 5 minuti

L’edilizia residenziale pubblica in Italia si trova in uno stato di crisi da decenni. Questo stato di crisi è frutto di un graduale processo di disimpegno dalle politiche abitative da parte dello Stato, avvenuto a partire dagli anni ’90 con l’interruzione dei fondi strategici e, di conseguenza, con l’abbandono quasi totale della produzione di alloggi pubblici. Parallelamente, il profilo degli inquilini delle case popolari in Italia è sempre più caratterizzato da situazioni di grave fragilità economica e sociale, riflettendo un aumento complessivo del disagio abitativo che colpisce parti crescenti e diversificate della società italiana, in particolare nelle città. Sebbene il settore pubblico sia ancora il principale strumento per realizzare il diritto ad un’abitazione (costituzionalmente codificato) per le fasce di popolazione più disagiate, il numero di domande valide, ma insoddisfacibili (per mancanza di unità abitative assegnabili) – secondo una recente stima di Federcasa (Talluri 2022), questo riguarda circa 650.000 famiglie in Italia – dimostra chiaramente l’urgente necessità di un impegno (politico, economico e gestionale) serio e sostanziale.

Un ruolo chiave in questo sforzo spetta ovviamente a chi gestisce la stragrande maggioranza del patrimonio abitativo pubblico in Italia: le aziende casa. Tuttavia, dovendo finanziare le gestione e la manutenzione del patrimonio soprattutto con le entrate derivanti dai canoni di affitto (che, essendo legati al reddito degli inquilini, stanno diminuendo di pari passo con l’aumento della loro fragilità economica), le aziende casa si trovano ad agire in una costante logica di emergenza e con margini di manovra molto limitati. Sullo sfondo, l’irrisolto e pubblicamente poco discusso problema della sostenibilità economica in una prospettiva di medio e lungo periodo – per approfondire questo argomento si veda: Saporito, Perobelli 2021.

Nei confronti di questa situazione sfortunata, gli amministratori delle aziende casa hanno adotto una varietà di meccanismi di adattamento, che vanno dalla rassegnazione ad un ottimismo opportunistico: le condizioni difficili, secondo alcuni dirigenti, hanno reso necessario trovare dei meccanismi di superamento e quindi hanno, paradossalmente, contribuito a produrre innovazione. Anche se la ricerca del silver lining – oppure il tentativo di identificare un aspetto positivo in una situazione negativa – è un’impresa più che legittima, non dovrebbe oscurare il fatto che lo stato di precarietà permanente è in generale sfavorevole all’azione innovativa. Nel discorso pubblico di oggi, il collegamento tra l’edilizia residenziale pubblica e l’innovazione sembra poco ovvio, quasi antitetico: il settore, così la narrazione, è troppo rigido, troppo bloccato nelle logiche di azione che caratterizzano il settore pubblico, preoccupato di amministrare invece di modellare e disegnare. Un discorso che semplifica e appiattisce l’eterogeneità della realtà, sia delle realtà spaziali (percependo le case popolari esclusivamente come luoghi di critica e perifericità e non come luoghi in cui sono disponibili anche risorse e potenziali) sia delle logiche di azioni degli attori. Guardando da più vicino, ci si rende conto che nel mondo dell’ERP esiste infatti una diversità di progettualità che è di solito il prodotto dell’interazione di una somma di attori (pubblici e non). Con la disponibilità di finanziamenti da parte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dedicati alla rigenerazione delle case popolari (in particolare, il programma ‘Sicuro, verde e sociale’), per la prima volta dopo decenni si apre una finestra di opportunità per gli attori coinvolti, non solo per stimolare la riqualificazione dei quartieri, atteso da tempo, ma anche per posizionarsi nuovamente come protagonisti dello sviluppo e della rigenerazione delle città italiane. Una sfida fondamentale in questo contesto non è solo quella di fare buon uso di questa opportunità (che si presenta con tempi stretti), ma anche quella di guardare oltre il PNRR e dare forma a prospettive strategiche e di lungo termine per il settore.

Uno sguardo al passato dimostra che fin dai suoi inizi, oltre un secolo fa, l’edilizia residenziale pubblica è stata un campo di sperimentazione per esplorare e riflettere su nuove modalità abitative e di progettazione urbana. Non per nulla esiste oggi un patrimonio (seppur quantitativamente molto modesto) rilevante, spesso d’autore, spesso con una forte impronta sulla morfologia delle città italiane, che testimonia che c’è stato un momento della storia italiana in cui la politica abitativa non solo era una questione pubblica, ma era addiritura di grande rilevanza. Si tratta di un patrimonio residenziale che non solo ha bisogno di cura – a Milano, per esempio, oltre il 70% del patrimonio ERP ha più di 50 anni (Petsimeris 2018) – ma che se Ia merita. 

E allora l’appello a un nuovo protagonismo delle case popolari non è un mero idealismo di intenti, ma invece un approccio razionale all’uso consapevole di un patrimonio e di un servizio pubblico che non può essere sostituito senza gravi costi economici e sociali. 

Ulteriori approfondimenti

Petsimeris, P. (2018), Social and Ethnic Transformation of Large Social Housing Estates in Milan, Italy: From Modernity to Marginalisation. In: Hess, D.; Tammaru, T.; van Ham, M. (eds.), Housing Estates in Europe. Poverty, Ethnic Segregation and Policy Challenges. Cham: Springer. 

Talluri, L. (2022), La sfida dell’abitare sociale in Italia. Aumentare il numero di alloggi rigenerando le città e rinnovando la gestione. In: Delera, E.; Ginelli, E. (eds), Storie di quartieri pubblici. Progetti e sperimentazioni per valorizzare l’abitare. Sesto San Giovanni: Mimesis.

Saporito R., Perobelli E. (eds.) (2021), Management dei servizi abitativi pubblici, Milano, Egea.

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