Nel 2023 si chiuderà definitivamente la politica di coesione 2014-2020, ma c’è ancora tanto da spendere. Ad oggi risulta speso dall’Europa solo il 62,6% della dotazione finanziaria del FESR e FSE 2014-2020 e in Italia il 51,7%. Un focus dedicato agli Stati europei e alle regioni italiane analizza l’intensità variabile in cui vengono allocati i Fondi in relazione al grado di sviluppo dei territori
Quali sono i soggetti beneficiari del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e del Fondo Sociale Europeo (FSE) 2014-2020? Quali sono le differenze principali tra i due fondi strutturali europei? Questi sono gli interrogati alla base di un lavoro di ricerca sviluppato attraverso l’analisi dei dati OpenCoesione, iniziativa di open government sulle politiche di coesione in Italia che, con riferimento al periodo di programmazione 2014-2020, sulla base di quanto previsto dall’Accordo di Partenariato, assume il ruolo di “portale unico nazionale” per la pubblicazione di informazioni sulle operazioni e sui beneficiari dei progetti cofinanziati dai Fondi SIE.
Il nuovo Accordo di Partenariato 2021-2027 è giunto ormai alla sua versione finale. Un quadro di opportunità significative con un protagonismo delle regioni confermato e un ruolo dei Programmi nazionali importante in chiave di auspicata sinergia con gli interventi del PNRR, ma anche un quadro di rischi cui prestare particolare attenzione, con una concentrazione di spesa pubblica senza precedenti.
L’Accordo di Partenariato 2021-2027 ha ridisegnato le strategie per la capacità amministrativa cofinanziate dai Fondi, introducendo diverse innovazioni rispetto al 2014-2020: maggiore concentrazione sull’efficienza dell’attuazione, più sostegno alle istituzioni e ai beneficiari territoriali, integrazione delle linee di intervento, adozione di un approccio strategico. L’efficacia attesa di queste strategie è collegata alla pertinenza delle misure che saranno concretamente implementate e ad un recupero generale della qualità di governo, ancora insufficiente secondo le elaborazioni promosse dalla Commissione europea.
Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.
La rivista è aperta a coloro che ritengono di avere un contributo da offrire al dibattito. La collaborazione avviene promuovendo articoli di carattere puntuale e/o gruppi di articoli coordinati su un tema. I contributi hanno una lunghezza compresa tra quattro e seimila caratteri. Per ogni richiesta di approfondimento: info@dite-aisre.it
In anni recenti molti esponenti del mondo accademico e tra i policy makers si sono schierati contro la narrazione dominante che le zone marginali siano destinate ad un inesorabile destino di abbandono e lenta scomparsa. Esistono in realtà alcuni territori, che abbiamo definito ‘vibranti’, capaci di resistere alla tendenza allo spopolamento adattandosi alla loro perifericità. Comprendere quali siano gli elementi esogeni, o quali le risorse endogene su cui hanno fatto perno, diviene un importante fattore di conoscenza per chi ha la responsabilità di proporre strumenti per promuovere la coesione territoriale e ridurre le disparità territoriali.
I piccoli paesi appenninici ribollono di complessità e divengono luoghi fertili per territorializzare alternative culturali e socioeconomiche in tempi di transizione ecologica ed energetica. La dimensione di scala, i vuoti relativi e la posizione decentrata rispetto ai grandi centri antropizzati facilitano tali ambizioni. Attraverso la formazione di operatori di comunità, facilitatori territoriali e neo-popolamento si sperimentano trasformazioni ideologiche e materiali in spazi fragili e marginalizzati sul campo attraverso diversi progetti.
L’urbanistica di genere è una disciplina che si propone di pianificare le città includendo le differenze di bisogni e necessità tra i generi, contribuendo a migliorare la vita quotidiana di quei soggetti che la pianificazione urbana ha storicamente omesso. È una pratica che permette di riscontrare come le città siano la rappresentazione concreta delle disparità tra i generi che caratterizzano la nostra società.