2 Maggio, 2024

Polarizzazione dell’innovazione e nuove disuguaglianze

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Secondo le analisi più accreditate, l’integrazione dei mercati mondiali che si è sviluppata negli ultimi vent’anni in conseguenza di massicci investimenti diretti esteri verso l’Asia e della formazione di catene globali del valore, ha prodotto due effetti contrapposti: da un lato una “grande convergenza” tra aree geo-economiche, dall’altro una crescente divergenza interna ai singoli paesi (Baldwin 2016; Milanovic 2023). Questo secondo processo si manifesta sia come disuguaglianza economica e freno della mobilità tra classi sociali (Perulli e Vettoretto 2022), ma anche come divario tra territori all’interno dei confini nazionali. Quest’ultimo tipo di disuguaglianza si inserisce in una caratterizzazione geografica tutt’altro che nuova per le economie avanzate: Nord vs. Sud in Italia; Parigi vs. il resto della Francia; le metropoli della costa nord-orientale e sud-occidentale degli Stati Uniti vs. le regioni del South- e Middle-East. Negli ultimi due decenni è tuttavia emersa una serie di nuovi elementi che rendono i divari regionali un fenomeno economico più complesso rispetto al passato. Proviamo a vedere alcuni di questi elementi.

La disuguaglianza within-country si manifesta oggi come scarto di prosperità economica tra alcune capitali economiche globali – le cosiddette superstar cities, come San Francisco, New York, Shanghai, Londra, Milano – e il resto delle città e delle aree interne ai loro stessi paesi. È una differenza che corre dunque lungo direttrici territoriali, disegnando nuovi circuiti economici che fanno emergere le città capaci di sfruttare i vantaggi delle nuove tecnologie e della globalizzazione, e le altre aree che invece rimangono indietro. Qualche dato: il 75% degli investimenti privati in startup in USA si concentra in tre aree urbane: San Francisco-Silicon Valley, New York, Boston-Cambridge. In Italia, il 50% dei gruppi multinazionali esteri ha sede a Milano e oramai numerose grandi imprese italiane, per non dire dei principali gruppi finanziari, hanno scelto di trasferire le funzioni di governo e maggiore valore aggiunto nel capoluogo lombardo.

Perché alcune città crescono e altre restano indietro? Le superstar cities sono diventate gli spazi elettivi della nuova economia della conoscenza, la quale richiede ambienti complessi nei quali poter combinare pool diversificati di competenze. In passato le economie esterne di localizzazione venivano identificate nei distretti industriali, i quali, attraverso processi di integrazione versatile potevano ridurre, se non eliminare, lo svantaggio delle piccole imprese in termini di economie di scala grazie alla famosa “triade marshalliana”: matching nel mercato locale del lavoro tra domanda e offerta di occupazione qualificata, sviluppo di prossimità delle catene di fornitura specializzata, condivisione di conoscenze tacite e rapida diffusione delle innovazioni. Oggi, tuttavia, sono le grandi città e gli spazi metropolitani a concentrare le risorse critiche dell’innovazione: idee, talenti e capitali. Sono questi gli elementi competitivi dell’economia della conoscenza. Infatti, le economie di agglomerazione fanno sì che gli asset produttivi dell’economia contemporanea si concentrino in pochi luoghi, che seguono di fatto il modello winners-take-all, il vincitore che si prende tutto. In realtà, stiamo facendo i conti con un effetto non intenzionale, ancorché prevedibile, della transizione dall’economia industriale all’economia degli intangibili.

Quali sono i rischi di questa nuova disparità? Oltre all’evidente disuguaglianza economica oggi osservabile non sono negli Stati Uniti e Regno Unito, ma anche nell’Europa continentale, in particolare Italia e Francia, si sta ponendo in modo sempre più evidente un problema di tenuta democratica nelle economie avanzate. Sono infatti diversi gli studi che hanno messo in luce la corrispondenza tra nuova geografia dell’innovazione e la mappa del voto. Se nelle superstar cities si affermano solitamente partiti progressisti, favorevoli all’innovazione e alla libertà degli scambi, nelle aree rimaste indietro o che sono entrate nella trappola del basso sviluppo, tende invece a manifestarsi un pericoloso risentimento sociale, che alimenta il voto dei partiti populisti e dei movimenti radicali avversi all’apertura economica e ai nuovi diritti sociali. Dal voto per Brexit, alle elezioni americane, all’affermazione dei partiti e dei movimenti sovranisti in Europa, è come se le comunità che si sentono escluse dai benefici dell’economia della conoscenza usassero il voto come strumento di protesta contro una élite ritenuta responsabile del proprio declino. Rodriguez-Pose ha efficacemente identificato questo fenomeno politico come “vendetta dei luoghi che non contano”.

Una soluzione alla nuova disuguaglianza economica tra territori non è facile da trovare. D’altro canto, gravità e ampiezza del problema non sono ancora state pienamente comprese dai policymaker e dalle istituzioni di governo del territorio. Esistono tuttavia alcuni casi controintuitivi di città medie che hanno saputo tenere bene il passo con le superstar cities e che mettono in luce un modello di innovazione alternativo e più sostenibile. Sono città che pur non avendo il glamour di New York, Londra e Milano, hanno dato forma a ecosistemi dell’innovazione di prim’ordine. Sono città periferiche come Galway in Irlanda, aree della vecchia industria pesante come la Ruhr, oppure il distretto di Raleigh-Durham in North Carolina, ma anche l’asse emiliano che si sviluppa tra Bologna e Parma. Luoghi che appaiono lontani dai circuiti delle superstar cities, ma che offrono una serie di interessanti elementi, utili a costruire un modello per “territori competitivi”.

Negli interventi che seguono verranno presentati i fattori di successo di queste “periferie competitive”, cercando di metterne in luce i tratti virtuosi e, soprattutto, quelli replicabili anche in altri contesti. Proveremo inoltre a trarre elementi utili per costruire efficaci politiche di sviluppo dei territori nel nuovo paradigma dell’economia della conoscenza. 

Ulteriori approfondimenti

Buciuni G., Corò G. (2023). Periferie competitive. Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza. Bologna. Il Mulino.

Baldwin R. (2016). Great Convergence. Harvard University Press.

Milanovic B. (2023). The Great Convergence: Global Equality and Its Discontents. Journal Foreign Affairs, Vol. 102. pp. 78

Perulli P., Vettoretto L. (2022), Neoplebe, classe creativa, élite, Bari, Laterza.

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