27 Luglio, 2024

Dalla giustizia spaziale allo spazio della giustizia

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In un famoso articolo del 1999, Susan Feinstein definisce Amsterdam come la città che più si avvicina ad un possibile modello di “città giusta”: vivace, multiculturale, con una buona e ben distribuita percentuale di case di qualità a canone regolamentato e processi di sviluppo urbano partecipativi tradizionalmente ostili all’omogeinizzazione etnica e sociale dei suoi quartieri, effettivamente Amsterdam appare come un luogo di equilibrio tra i tanti e vari estremi che caraterizzano le grandi aree urbane.

Ciò non rende assolutamente Amsterdam la città “per tutti” in cui pare di immergersi camminando lungo i suoi canali. Al contrario, mai come oggi il dibattito politico olandese è ancorato al tema “wonen” – letteralmente, “abitare” – e focalizzato sull’area metropolitana che comprende L’Aja, Rotterdam, Utrecht ed Amsterdam, il cosiddetto “randstad”. Confrontati con un disequilibrio evidente tra domanda ed offerta di case a prezzi accessibili, i Paesi Bassi stanno affrontando una crisi abitativa molto divisiva. I partiti politici che si presenteranno alle elezioni anticipate di novembre 2023 sono pertanto impegnati in un acceso dibattito sul futuro dell’”abitare” nelle dodici province del Paese.

Il problema è sostanzialmente un problema di affordability. Secondo l’istituto nazionale di statistica CBS, dal secondo dopoguerra ad oggi la differenza tra numero di nuclei familiari e case disponibili è tra le piú basse in assoluto: invero, quasi nulla (CBS, 2022). Di contro, l’evoluzione demografica che vede un generico aumento di nuclei familiari individuali – fortemente rappresentati dagli studenti universitari internazionali, il cui numero è quadruplicato dal 2006 ad oggi (CBS, 2023a) – determina un “mismatch” sia reale che fortemente percepito tra offerta e domanda di abitazioni. Inoltre, dal 2013 il prezzo delle case è continuato ininterrottamente a salire; a gennaio del 2022, il prezzo medio di una casa era del 90,9% superiore al prezzo di giugno del 2013 (CBS, 2022). Quasi un raddoppio in meno di dieci anni, chiaramente non corrisposto da un proporzionale aumento del salario disponibile dei nuovi potenziali acquirenti (in olandese, “starters”). Mentre l’aumento ha riguardato tutta l’Eurozona – anche a seguito del forte incentivo all’acquisto dato dai bassi tassi di interesse bancario – l’aumento del prezzo delle case nei Paesi Bassi è stato comunque più alto degli altri Paesi dell’area. Tale aumento riflette anche il minor numero di case costruite a partire dal 2012 in seguito alla stagnazione del mercato delle costruzioni causato alla crisi finanziaria del 2008, esacerbata negli ultimi anni da altri eventi traumatici come la pandemia di COVID-19 e l’aumento del prezzo di materie prime ed energia.

A fronte di questi dati, chiaramente la risposta al problema abitativo non può essere articolata unicamente come una risposta “di mercato”. Né questo sarebbe possibile: la Costituzione olandese sancisce infatti l’obbligo per lo Stato di provvedere alla disponibilità di case in numero e qualità sufficienti per i cittadini. Questo obbligo costituzionale chiarisce una delle ragioni dell’aspra politicizzazione del tema “casa”, la demonizzazione dei proprietari privati che affittano le loro case nel libero mercato (i cosiddetti “huismelkers”, mungitori di case), e lo sguardo dei cittadini alla loro ricerca perennemente rivolto verso lo Stato.  

Mentre la domanda che domina il dibattito pubblico è se lo Stato stia adempiendo a questo obbligo o meno, quella meno scontata, e che credo meriterebbe più spazio, è se questo obbligo costituzionale sia la soluzione o piuttosto la causa del problema. Prendiamo ad esempio il mercato degli affitti. Lo Stato olandese sostiene un sistema di case sociali tra i piú sussidiati al mondo (Schilders and Scherpenisse, 2018). Il sistema si regge sulla costruzione e gestione di case ad affitto regolamentato da parte di associazioni private (“woningcorporaties”). Queste associazioni godono di vantaggi fiscali lungo tutto il processo di costruzione e messa a rendita delle case nel mercato degli affitti: vantaggio che gli permette di mettere sul mercato le case pagabili e di qualità toccate dalla riflessione di Feinstein. Il 90% di queste case sono soggette ad una regolamentazione che stabilisce il prezzo di affitto delle singole unità abitative sulla base di un complicato calcolo di punti. Un vero e proprio “tribunale degli affitti” (“huurcommissie”), a cui può rivolgersi ogni affittuario, è demandato al controllo del giusto calcolo per ogni singola unità abitativa. Per avere accesso ad una di queste unità, è necessario dimostrare di ricadere nelle fasce di reddito eleggibili per le case sociali ed i rispettivi sussidi. La soglia per l’anno in corso è di 44.035 euro lordi l’anno per un nucleo individuale: cifra che acquista significato se accostata al reddito medio nazionale, che attualmente corrisponde a 46.900 euro lordi l’anno (CBS, 2023b).

Un altro dato molto significativo è che su un totale di 2.52 milioni circa di unità abitative disponibili nel mercato dell’affitto, 2.10 milioni sono di proprietà di queste associazioni: solo lo 0.31% appartiene a privati (Schilders and Scherpenisse, 2018). Il 69% delle case date in affitto da proprietari privati è comunque soggetto a regolamentazione. Nel randstad, il medesimo sistema a punti adottato per il calcolo degli affitti delle case sociali è stato gradualmente esteso a quelle di proprietà privata. In altre parole, piccoli proprietari che hanno mantenuto i loro appartamenti da “starter’ dopo avere traslocato in case più grandi si sono ritrovati a dovere applicare le medesime regole delle case sociali per potere mantenere tali proprietà nel mercato degli affitti. Non solo: nelle città del randstad, molti di questi appartamenti non possono più essere venduti ai fini di messa a rendita, ma soltanto ad “owners-occupiers”: con tutte le conseguenze del caso sulla quantità di appartamenti disponibili sul libero mercato degli affitti.

La caratterizzazione degli “huismelkers” come causa del problema di affordability delle case olandesi non trova quindi alcuna significativa corrispondenza nei dati. Più significativa è l’incidenza sul problema di quei nuclei familiari che hanno avuto accesso ad affitti regolamentati sulla base del loro reddito, e che hanno mantenuto i rispettivi diritti contrattuali malgrado il suo aumento negli anni. Nel 2012, per esempio, il reddito di 685.000 nuclei familiari residenti in case sociali eccedeva i rispettivi requisiti di eleggibilità. In altre parole, 685.000 nuclei familiari abitavano case sociali malgrado il loro reddito fosse superiore al massimo reddito annuo consentito. La legge infatti protegge gli affittuari solventi, impedendo la rescissione del contratto di affitto malgrado il venir meno dei requisiti di eleggibilità. La logica conseguenza è che nel 2012 ben 685.000 nuclei familiari aventi requisito non hanno avuto accesso ad un loro diritto costituzionale. 

Se pensiamo all’intero stock di 2.52 milioni circa di unità abitative gestite dalle woningcorporaties, questi 685.000 nuclei familiari “abusivi”, sebbene del tutto protetti, sono un dato senz’altro più significativo di quelli relativi ai singoli proprietari od investitori attivi nel mercato degli affitti. Il punto, quindi, come sempre, è squisitamente normativo.

La prescrizione di requisiti di ingresso per la titolarità di contratti di affitto sociale e l’irrevocabilità di tali diritti malgrado il venir meno di tali requisiti innescano un meccanismo perverso che fa sí che le case disponibili vengano occupate, nel tempo, da nuclei familiari che potrebbero benissimo affittare nel mercato privato: lasciando le famiglie che avrebbero invece diritto ad affitti sociali in balia di quel mercato. Questo corto circuito normativo si scontra poi con il limite spaziale, ossia l’impossibilità di costruire case (sociali) all’infinito (questo malgrado il governo olandese abbia lanciato un grande programma di costruzione con orizzonte 2030). Questo limite spaziale, a sua volta, spinge lo Stato ad iper-regolamentare il mercato privato, estendendo ad esso requisiti e criteri pensati per processi di sviluppo urbano generosamente defiscalizzati e sussidiati: certamente non pensati per i singoli proprietari di case in affitto che di tali vantaggi non hanno goduto. Il risultato è una spirale perversa, che oltre a punire gli attori meno responsabili del problema – appunto i piccoli proprietari privati – disincentiva la sopravvivenza di quel medesimo mercato: che, è bene ricordarlo, resta un mercato vitale per quei nuclei individuali come single, studenti, lavoratori ed anziani per i quali l’acquisto di una casa sarebbe un’operazione svantaggiosa.

Offro quindi due spunti alla riflessione. Il primo è che l’obbligo costituzionale di uno Stato (qualunque Stato) di provvedere ad un numero e qualità sufficiente di case per i cittadini bisognosi è un obbligo di buon senso, che riflette una intuizione morale animata da ragionevolezza oltre che dal principio, anch’esso costituzionale, di solidarietà. Gli effetti perversi della sua implementazione nel caso olandese ci interrogano, però, sui requisiti di ragionevolezza sia dell’intervento pubblico in materia di diritto alla casa, sia del dibattito pubblico che lo circonda.

Il secondo spunto è che la caratterizzazione dei proprietari privati come radice del problema anziché come efficace risposta alla domanda abitativa che caratterizza le grandi aree urbane ci invita ad una riflessione più razionale sul tema della giustizia spaziale. Tale giustizia non è evidentemente perseguibile attraverso l’ipertrofia normativa del mercato immobiliare: in altre parole, non è estendendo ai privati l’onere pubblico di allocazione e distribuzione di beni primari come la casa che si ottiene giustizia spaziale. Tale giustizia risiede nel riconoscere il giusto spazio alla libertà dei privati cittadini di agire nel libero mercato: libertà senza la quale il rischio è non solo non riuscire a proteggere i bisognosi ma anche, forse soprattutto quello di creare i più ingiusti ed inestirpabili privilegi.

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