9 Dicembre, 2023

Un’agenda di policy per territori competitivi oltre le Superstar City

Tempo di lettura: 5 minuti

Andrés Rodriguez-Pose è stato fra i primi studiosi a mettere in luce i rovinosi effetti politici causati da divari regionali che non riguardano solo i livelli di reddito e consumo, bensì la mancanza di senso e dignità di vivere in luoghi che non contano nulla. Nelle regioni che si sentono escluse dai processi di innovazione tende così a montare un risentimento sociale e politico, che sposta l’attenzione dalle possibili vie d’uscita dalle trappole dello sviluppo, alla ricerca di un capro espiatorio cui attribuire la responsabilità dell’incapacità di crescere. Una parte di questo risentimento è in realtà giustificata, poiché è indubbio che le classi dirigenti e intellettuali hanno a lungo sottovalutato il problema dei divari territoriali, impegnandosi poco a ridurli. D’altro canto, non è cercando alibi, né rivendicando una semplice redistribuzione delle risorse che il problema si può risolvere. Gli alibi nascondono le vere cause della scarsa competitività e possono portare a processi di chiusura economica e sociale che, alla fine, peggiorano ulteriormente la situazione. Nemmeno le politiche redistributive sono da sole sufficienti: possono ridurre gli effetti delle disuguaglianze nel breve periodo, ma non intaccano le cause di fondo che riproducono i divari nel tempo, creandone semmai di ancora più insidiose, come avviene con la formazione di coalizioni distributive che sottraggono risorse ai ceti produttivi e ai progetti innovativi. 

Negli articoli presentati in questa rassegna vediamo tuttavia che una strada diversa è possibile. Conoscenze, capacità, progetti per costruire originali percorsi di innovazione e sviluppo non sono prerogative riservate alle Superstar city. Galway nell’estremo lembo occidentale dell’Irlanda, il Research Triangle nel North Carolina, il sistema integrato di distretti 4.0 lungo la Via Emilia rappresentano territori competitivi che, anche senza grandi centri metropolitani, hanno saputo generare processi di crescita sostenibile e attrarre risorse umane, finanziarie e tecnologiche. Casi di questo genere sono ovviamente molto più numerosi di quanto abbiamo qui documentato. E possono moltiplicarsi grazie anche al fondamentale processo di apprendimento costituito anche dall’imitare l’innovazione che funziona. A tal fine è utile riflettere sui fattori di successo di questi casi, che possono venire raggruppati in cinque categorie. La prima è la valorizzazione di vocazioni e specializzazioni complementari a quelle delle grandi città. La contea di Galway si è specializzata negli anni in un comparto industriale, device digitali per il settore medico, lontano dal focus economico-finanziario della capitale Dublino, grande attrattore degli investimenti in servizi intangibili e sede delle principali università del paese. Analogamente, lungo l’asse emiliano ha preso corpo un modello di sviluppo che fa leva sulle vocazioni manifatturiere, trasformando la tradizione industriale in eccellenza tecnologica, come nel caso dell’automotive, del biomedicale, del wellness, dell’agrifood, della meccanica agricola, tenendosi alla larga dal mondo della grande finanza, della moda e del design, dove nell’ultimo decennio si è concentrata l’economia di Milano. 

La seconda categoria è costituita dalla complessità economica: i territori competitivi che abbiamo analizzato hanno aumentato nel tempo varietà e sofisticazione delle conoscenze produttive presenti nel sistema locale, collegando fra loro distretti e servizi ad alto valore aggiunto e rafforzando a una scala più ampia le economie di agglomerazione. La complessità della conoscenza produttiva permette infatti di alimentare nel tempo i processi di innovazione, favorendo l’esplorazione di nuove frontiere competitive in ambiti di mercato che possono essere sia contigui allo spazio dei prodotti conosciuti, ma talvolta anche lontani (unrelated) dalle tradizionali specializzazioni locali. 

Una terza categoria di fattori di successo è costituita dalla connettività globale, espressa in particolare dalla presenza sul territorio di imprese multinazionali e da efficaci collegamenti con il mondo esterno. Questi collegamenti sono assicurati da buone infrastrutture di base, ma anche da culture aperte all’innovazione e alle relazioni con il mondo, le quali rendono concretamente possibile raggiungere più mercati, canalizzare risorse e conoscenze esterne al sistema locale, e sfruttare le economie di scala della conoscenza.

La quarta categoria di azioni è spingere la cooperazione tra sistema educativo e sistema produttivo. Non è tanto la presenza in sé di scuole tecniche e università a garantire lo sviluppo di processi di innovazione, bensì la capacità di creare “attività ponte” con il sistema produttivo locale: compartecipazione ai centri di ricerca, laboratori di didattica attiva, incubatori imprenditoriali, coinvolgimento effettivo nella valutazione della ricerca e della didattica. In altri termini, formazione tecnica e istruzione universitaria possono diventare leve per lo sviluppo di un territorio solo se si sviluppano dialoghi strutturati e reciprocamente vantaggiosi con imprese e istituzioni locali.

La quinta categoria è costituita da una finanza che sostiene la nuova imprenditorialità e misura un interesse inclusivo con il territorio. La finanza, com’è noto, gioca un ruolo chiave nel sostenere progetti di innovazione, per definizione più rischiosi e con resa differita nel tempo. Per questo è necessario che le istituzioni finanziarie siano guidate, allo stesso tempo, da un interesse “sistemico” e da un atteggiamento favorevole a chi assume rischi su nuovi progetti di investimento. Una parte dei benefici dell’innovazione non vengono infatti appropriati dall’impresa, ma si diffondono, in quanto spillover, nel sistema produttivo locale. Perciò, solo un investitore che misura un interesse inclusivo sul territorio, non solo sulla singola impresa, può vedere il ritorno sistemico del suo investimento. 

Un’agenda di politica industriale per il territorio richiede tuttavia un presupposto: che istituzioni pubbliche, sistema educativo, imprese e finanza condividano un patto implicito per lo sviluppo, investendo congiuntamente sui beni comuni per la competitività. Se le élite locali non riescono a condividere un linguaggio comune sullo sviluppo e trovare questo accordo, anche l’agenda politica più ambiziosa è destinata al fallimento.

Ulteriori approfondimenti

Buciuni G., Corò G. (2023). Periferie competitive. Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza. Bologna. Il Mulino.

Articoli correlati

Diverse prospettive di “giustizia spaziale”

Per “territorializzare” certe idee di “giustizia”, serve capire quali problemi debbano essere oggetto della giustizia legale (chi ha fatto cosa), e quali siano anche oggetto di giustizia sociale (chi può/deve fare cosa) e spaziale (cosa fare dove). In questo numero affrontiamo cosa voglia dire accogliere la sfida della “giustizia spaziale” da diverse prospettive, utili a stimolare e intervenire più efficacemente su alcuni problemi che affliggono diversi contesti urbani contemporanei.

Cosa possiamo plausibilmente intendere quando invochiamo la “giustizia spaziale”

Si parla molto oggi, forse eccessivamente, di “giustizia spaziale”. Questa breve nota invita a una riflessione critica su tale concetto con l’intenzione di suggerirne (anche nella teoria e nella pratica della pianificazione e delle politiche urbane) un uso più mirato e fuor di retorica.

Lo spazio ed il significato attribuiti alla giustizia spaziale nella formazione universitaria degli architetti e dei pianificatori di domani in Brasile: buone teorie, cattive...

Questo contributo sintetizza gli esiti di un’indagine sullo spazio ed il significato attribuiti al tema della giustizia spaziale nei corsi di laurea e post laurea in studi urbani delle università federali degli stati di Rio de Janeiro e di Goiás in Brasile. Nonostante, a livello teorico, emerga una buona diffusione del tema nei corsi di studi nell’università pubblica, tuttavia, gli intervistati hanno manifestato il timore che la maggior parte dei nuovi professionisti architetti-urbanisti siano poco attenti a questo a tema a causa delle pressioni del mercato e della grande diffusione delle università private nel paese.

Giustizia spaziale come spazio d’azione

Il dibattito attorno al tema della giustizia spaziale può essere ampliato se si considera la città come spazio d'azione. In particolare, una distribuzione ampia e diversificata delle responsabilità progettuali (ovvero del potere d'azione e controllo sull'ambiente costruito) viene indicata come una meta-condizione necessaria per una città più giusta. Tale idea ha rilevanza sia sul tema della proprietà sia su vari aspetti del disegno urbano.

Dalla giustizia spaziale allo spazio della giustizia

Le ultime due decadi di letteratura in studi urbani e geografia umana hanno visto una proliferazione di contributi sul tema della giustizia spaziale. Una delle caratteristiche comuni in questa letteratura è la considerazione di tale “giustizia” come uno “stato di cose” risultante da una equa distribuzione di beni spaziali primari e rispettivi diritti