26 Aprile, 2024

La cura nella rigenerazione

Tempo di lettura: 5 minuti

Il libro di Simone Rusci, La città senza valore (Angeli, 2021), provoca nuove sfide per il giurista. Le attenzioni poste alla rigenerazione da parte dei giuristi partono dal presupposto che lo strumento principe e di eccellenza di trasformazione del territorio, su cui si è fondato il diritto urbanistico, ha perso progressivamente la sua capacità di governo razionale e di utilità per i nuovi bisogni sociali, cosicché si è ritenuto che lo sguardo dovesse essere rivolto allo stimolo dell’offerta privata, considerata più flessibile, adattiva e capace di intercettare i cambiamenti.

Infatti, sebbene il termine di rigenerazione sia di per sé polisenso e quindi scarsamente utilizzabile per connotare in modo preciso uno specifico complesso di obiettivi e strumenti giuridici, può essere ritenuto che essa compendi un’ampia gamma di strumenti di incentivazione o di disincentivo attraverso cui viene riutilizzato il già costruito, risparmiando nuovo consumo di suolo o producendo di questo un complessivo saldo zero. A dispetto di questa definizione ampia ma sufficientemente rappresentativa, il volume di Rusci dimostra che esiste una parte dell’edificato o dell’impermeabilizzato che è strutturalmente immune a questi strumenti giuridici, cosicché quei beni o quelle infrastrutture non solamente sono in disuso ma sono inidonei al riuso.

Ciò sarebbe determinato dal fatto che la rigenerazione produce effetti solo se sa garantire ritorni di carattere economico per chi investe e, nei confronti di alcuni beni, questo appare impossibile nel medio e nel lungo tempo. Se si pensa alle aree interne ma anche a porzioni di territorio di provincia non è difficile crederlo. In questo modo il volume si caratterizza per due aspetti. Il primo è che, diversamente da quanto hanno fatto in modo critico molti osservatori, il problema della rigenerazione non sta semplicemente nella de-pianificazione o nella liberalizzazione delle trasformazioni del territorio, ma nell’inidoneità a garantire sempre valorizzazione.

Molti spesso sottolineano gli effetti negativi della rigenerazione, il volume di Rusci ci dimostra che in certi casi è più che altro inutile. Il secondo aspetto è che il libro ci permette di rivedere nella gestione del territorio esiti che si sono visti anche con riferimento ad altre politiche pubbliche impostate negli ultimi trent’anni prima della pandemia sui servizi pubblici, ridotti a complesso di prestazioni il cui pregio è stato misurato solo in termini economici con il risultato di produrre grandi squilibri sociali e territoriali.

Figura 1. Fotografia di Francesca Benelli (2017)

Da ciò derivano gli interrogativi se sia possibile restituire un senso a quello che è insuscettibile di essere valorizzato dal punto di vista economico. La domanda pone una questione di fondo più ampia se il diritto debba essere in una funzione servente del valore economico o debba essere posto al servizio di obiettivi più ampi, in cui sia possibile restituire senso ai luoghi convogliando così anche valore economico. E se questa seconda strada è possibile, ha senso parlare ancora di rigenerazione?

Sulla prima domanda non ci sono molti margini di dubbio. Nel diritto esistono esempi molto ampi di interessi paralleli che insistono sul territorio finalizzati a perseguire obiettivi che di volta in volta possono essere ambientali, culturali, di tutela della salute, paesaggistici e sociali, ma il loro limite è che essi spesso agiscono come vincoli immobilizzanti, mentre la sfida è quella di restituire un senso rinnovato per fini di carattere sociale. Scontata la difficoltà di ritornare alla pubblicizzazione totale della trasformazione del territorio, la risposta potrebbe essere rappresentata dallo sviluppo programmato e consapevole dell’amministrazione condivisa.

A differenza degli altri modelli di amministrazione, quella condivisa investe sulla valorizzazione dell’apporto creativo dei cittadini e della società civile per la risoluzione di interessi generali. Tale approccio stimola comunque un’iniziativa privata che è prevalentemente civica e solo in misura limitata anche economica. È un’amministrazione che progetta e valorizza le capacità diffuse dei cittadini di saper immaginare i luoghi in rispondenza ai propri bisogni. Utilizza anch’essa incentivi e disincentivi, ma il vantaggio prodotto è quello di restituire un senso di riappropriazione collettiva dei luoghi.

Figura 2. Fotografia di Francesca Benelli (2017)

Ciò genera innanzitutto valore di interesse pubblico, ma indirettamente anche valore economico attraverso i «fattori intangibili», nella misura in cui il primo è capace di liberare energie sociali e culturali e quindi senso di comunità. Gli esempi verificatesi negli ultimi anni sono numerosi, anche se si tratta di sperimentazioni che spesso non riescono a superare la soglia della provvisorietà. Quello a cui danno vita è però un altro modo di amministrare: meno formalistico, più collaborativo e cooperativo e confidente nelle autogestioni.

Tutto questo è ancora definibile come rigenerazione? In qualche modo negarlo significa assecondare proprio quello che si è criticato fin qui: ridurre la valorizzazione dei fenomeni sociali alla sola componente economica. Se, invece, si dà della rigenerazione un significato più ampio, come complesso delle politiche tese a curare ciò che ha perduto l’originaria funzione per rispondere a nuovi bisogni, il termine ha ancora una sua attualità. Come avviene in quella associata normalmente all’assistenza, la cura ha un valore economico limitato ma dà un apporto sociale notevole che supera la mera sfera privata, perché restituisce dignità alle persone. Lo stesso avverrebbe con la cura dei luoghi abbandonati, il cui destino non è quello di una nuova funzionalizzazione guidata dal mercato o da un’astratta decisione pubblica ma quello determinato da chi li vive in prima persona attraverso nuovi strumenti di partecipazione.

Articoli correlati

Se un paese cerca una strada, tra economia paziente, spopolamento ed energie da non sprecare. 

Un paese della Puglia riflette su come contrastare fenomeni di spopolamento ormai comuni a tanta parte dell’Italia, si misura con un paese vicino, caso di successo di quella che Paolo Manfredi nel suo libro “L’eccellenza non basta” chiama “economia paziente”. Il contrasto allo smottamento demografico, economico e immobiliare di tanta parte delle aree interne non si risolve con Grandi Piani, ma con un paziente lavoro di coltivazione e accompagnamento di progettualità ed energie sparute e sopite, senza sprecare nulla, perché anche piccoli progetti possono avere impatti significativi.

Se i giovani diventano protagonisti della rigenerazione dei territori

Due progetti avviati da Fondazione Riusiamo l’Italia in Basilicata nel 2022 per sperimentare nei territori rurali del Mezzogiorno metodi e approcci sul riuso creativo, temporaneo e partecipato. Il primo progetto denominato “Mappa delle opportunità ritrovate” è attuato per conto del GAL Cittadella del Sapere consiste in un processo di mappatura del patrimonio dismesso o sottoutilizzato. Il secondo progetto intitolato “Next Generation - Sant’Arcangelo Hub Giovani” ha lo scopo di valorizzare il talento e le competenze di giovani che possano supportare progetti di innovazione in campo sociale, culturale, ambientale e turistico. Le due esperienze definiscono un approccio ad alta vocazione generativa che richiede limitate risorse di adattamento sulle “cose” e maggiori investimenti sulle persone e sulle comunità, sul loro empowerment e sulla propensione a costruire nuovi modelli di sviluppo durevole e sostenibile.

Il progetto NEO a Gagliano Aterno

I piccoli paesi appenninici ribollono di complessità e divengono luoghi fertili per territorializzare alternative culturali e socioeconomiche in tempi di transizione ecologica ed energetica. La dimensione di scala, i vuoti relativi e la posizione decentrata rispetto ai grandi centri antropizzati facilitano tali ambizioni. Attraverso la formazione di operatori di comunità, facilitatori territoriali e neo-popolamento si sperimentano trasformazioni ideologiche e materiali in spazi fragili e marginalizzati sul campo attraverso diversi progetti.

Xfarm agricoltura prossima a San Vito dei Normanni

A San Vito dei Normanni, stiamo trasformando 50 ettari di terre confiscate alla criminalità organizzata in un’azienda agricola, ecologica e sociale capace di generare lavoro, benessere per la comunità e miglioramento dell’ecosistema. Rigeneriamo il suolo, promuoviamo economia circolare, aumentiamo la biodiversità, offriamo prodotti agricoli di qualità, favoriamo inserimenti socio-lavorativi, organizziamo eventi comunitari, sosteniamo la formazione tecnica e la ricerca scientifica, accompagniamo progetti agricoli promossi da giovani del nostro territorio. In tanti e tante, stiamo costruendo un originale hub rurale che vuole contribuire allo sviluppo locale dell’Alto Salento.

Sul principio di conservazione dell’edificabilità e su alcune sue ricadute sui territori 

Così come l’energia non si disperde nelle trasformazioni di un sistema, il diritto edificatorio non si disperde nelle trasformazioni di un manufatto, rimanendo valido e legittimo ben oltre il suo ciclo di vita. Tutto ciò con implicazioni rilevanti sulla fiscalità, sulle politiche di riuso e sulle scelte individuali.