Le transizioni digitale, ecologica, amministrativa e sociale non sono solo priorità strategiche: rappresentano processi che richiedono nuove competenze e soluzioni organizzative. Intendere la transizione come processo – e non come semplice traguardo – significa dotarsi degli strumenti per gestire l’incertezza, mantenendo una chiara direzione.
In questo contesto, la formazione assume un ruolo chiave: non si tratta solo di trasmettere conoscenze, ma di sviluppare la capacità di agire in contesti in continua evoluzione. È questa la prospettiva delineata anche dalla Direttiva del Ministro per la Pubblica Amministrazione del 14 gennaio 2025, che afferma la centralità di valori e comportamenti organizzativi – accanto alle competenze tecniche – come leva di trasformazione. La visione proposta è netta: la formazione è un fattore abilitante del cambiamento culturale e istituzionale.
In linea con questo approccio, la Scuola IFEL ha cercato di mappare i fabbisogni formativi del personale comunale. I dati del report “Persone e competenze. I fabbisogni formativi nei comuni” mostrano che i principali disallineamenti si registrano proprio nelle aree funzionali alle transizioni, tanto sul piano tecnico quanto, in parte, su quello comportamentale.
Le competenze per la transizione ecologica evidenziano il divario più ampio: in media, il 78,2% dei dirigenti, il 78,8% dei ruoli professionali/manageriali, il 77,3% dei ruoli gestionali/di coordinamento e oltre l’80% dei ruoli tecnici e operativi dichiarano di possedere solo conoscenze di base – o di non averne affatto – in materia di sostenibilità e della sua integrazione nei processi decisionali e gestionali.
Anche sul fronte della transizione digitale emergono criticità. Mentre le competenze di base risultano ampiamente diffuse, quelle avanzate – come la data governance, la cybersecurity e l’intelligenza artificiale – sono ancora poco consolidate. In media, il 60,7% dei dirigenti e il 58,5% dei ruoli professionali/manageriali si colloca nei livelli iniziali (nessuna competenza o competenze di base) nell’utilizzo degli open data, delle tecnologie emergenti e degli strumenti di sicurezza informatica. Il problema, quindi, non è solo tecnico, ma riguarda la capacità di guidare l’innovazione.
Per quanto riguarda la transizione amministrativa, il fabbisogno formativo è legato in particolare alla gestione integrata del ciclo delle politiche pubbliche: programmazione, valutazione, accountability. I modelli di riferimento sono orientati agli impatti, guidati dai dati e improntati alla collaborazione. Tuttavia, i dati indicano che tali competenze sono ancora in via di sviluppo: il 41,2% dei dirigenti, il 48,5% dei ruoli professionali/manageriali e oltre il 50% dei ruoli gestionali, tecnici e operativi si colloca nei livelli iniziali.
Infine, la transizione sociale – che comprende inclusione, coesione, prossimità – richiede competenze nuove legate alla progettazione partecipata e alla gestione della complessità nei rapporti con cittadini e territori. Anche in questo ambito, il fabbisogno formativo risulta esteso e trasversale.
I dati confermano quanto sostenuto dalla Direttiva 2025: la distinzione tra competenze tecniche e trasversali è sempre meno significativa. Nessuna innovazione è sostenibile se non è accompagnata da leadership diffusa, visione strategica e capacità relazionali. La digitalizzazione, per esempio, richiede non solo competenze strumentali, ma anche abilità nel lavoro in rete, nella valorizzazione delle persone e nella gestione costruttiva dei conflitti. Il report mostra che, se da un lato il 62,2% dei ruoli professionali/manageriali dichiara un forte orientamento al risultato, competenze come leadership, influenza sociale e gestione del conflitto mostrano ancora ampi margini di sviluppo, con il 17,7% e il 19,8% rispettivamente nei livelli iniziali. L’agilità digitale, che per i dirigenti si attesta al 30,1% nel livello avanzato, vede però anche il 23,6% nei livelli più bassi, con ripercussioni non solo sulle competenze individuali, ma anche sui comportamenti organizzativi.
Un’altra indicazione chiara è che non basta più ampliare i cataloghi formativi o moltiplicare gli obblighi. I modelli di apprendimento si stanno orientando verso percorsi non lineari, flessibili, costruiti a partire dalle attitudini individuali e dal contesto organizzativo. Occorrono spazi e pratiche dove le competenze possano essere non solo apprese, ma anche riconosciute e messe alla prova.
Per diventare agente delle transizioni, la PA deve ripensare sé stessa: più che manuali, servono mappe; più che standard, servono percorsi adattivi; più che singole competenze, servono connessioni tra domini. In questo scenario, la formazione può diventare leva di trasformazione se riesce a connettere conoscenza, relazioni e significato.
* Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni dell’autrice senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza
Approfondimenti
- Rapporto IFEL “Persone e competenze. I fabbisogni formativi nei Comuni | 2025”
- Direttiva del Ministro della Pubblica Amministrazione “Valorizzazione delle persone e produzione di valore pubblico attraverso la formazione. Principi, obiettivi e strumenti”