Con la Direttiva “Valorizzazione delle persone e produzione di valore pubblico attraverso la formazione. Principi, obiettivi e strumenti” del 14 gennaio 2025, il Ministro per la Pubblica Amministrazione introduce una svolta normativa e culturale nel campo della formazione pubblica. L’obbligo delle 40 ore minime annue per ciascun dipendente non rappresenta soltanto una soglia quantitativa, ma l’intento di formalizzare un diritto-dovere all’apprendimento continuo come parte integrante della vita professionale nella PA. La formazione diventa così oggetto di programmazione, valutazione e responsabilità, assumendo una funzione strategica per il miglioramento delle competenze e per la qualità dell’azione amministrativa. In particolare, la Direttiva attribuisce esplicitamente, ai sensi dell’art. 21 del D.lgs. 165/2001, la responsabilità per l’inosservanza delle disposizioni e per il mancato raggiungimento dei risultati ai dirigenti preposti a strutture con specifiche competenze nella gestione del personale.
Alla base di questo impianto vi è il riconoscimento che la PA italiana affronta sfide sistemiche: l’invecchiamento del personale, la dispersione territoriale delle competenze, la difficoltà di trattenere talenti e le grandi transizioni in atto, prima tra tutte quella organizzativa e amministrativa. Secondo elaborazioni IFEL su dati del Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato–IGOP, nei Comuni italiani operano circa 342.000 dipendenti, con un’età media superiore ai 51 anni e un tasso di ricambio ancora insufficiente. In questo contesto, sebbene nel 2023 la spesa media per la formazione sia cresciuta rispetto ai tre anni precedenti, il numero di ore erogate, in termini di ore equivalenti, rimane modesto. Questo dimostra come l’investimento in formazione nella PA sia rimasto per anni ancorato a una logica di soglia minima. L’obbligo delle 40 ore minime deve quindi essere inteso non come un parametro isolato, ma come una leva per colmare un divario strutturale.
La Direttiva propone un’articolazione multilivello degli strumenti formativi. Il PIAO diventa il perno per programmare la formazione in modo coerente con i fabbisogni dell’amministrazione e dei singoli dipendenti. Parallelamente, si rafforzano le piattaforme pubbliche (Syllabus, PA 110 e lode), le reti territoriali, le collaborazioni con le università, i progetti finanziati e i protocolli con enti accreditati. Il principio guida è quello della coerenza: la formazione deve rispondere a obiettivi concreti e misurabili, legati ai ruoli, alle competenze richieste e ai cambiamenti organizzativi in corso.
I chiarimenti contenuti nelle FAQ del portale Syllabus aiutano a rendere operativo questo impianto, specificando, ad esempio, che l’obbligo riguarda anche i contratti a termine, gli operai, i dirigenti, e che le ore possono essere riparametrate in base alla presenza in servizio. È inoltre rilevante che la formazione venga conteggiata solo se completata e validata da un test finale, con alcune eccezioni per le comunità di pratica o per esperienze con impatto documentato sull’attività lavorativa. Il ventaglio delle opzioni è ampio: sono ammesse attività fuori orario, corsi autofinanziati, attività universitarie e tematiche specialistiche, purché tutto sia inserito nel piano individuale e approvato dal dirigente.
Restano tuttavia interrogativi importanti. Il principale riguarda la responsabilità in caso di mancata partecipazione: cosa succede se un dipendente non svolge la formazione? Le FAQ chiariscono soltanto che la partecipazione è valutata positivamente, senza esplicitare eventuali conseguenze. Questo genera incertezza, soprattutto per i dirigenti, la cui performance è legata all’attuazione del piano formativo e a quanto previsto dall’art. 21 del D.lgs. 165/2001. In parallelo, le amministrazioni sono chiamate a registrare, tracciare e rendicontare ogni intervento: contenuti, destinatari, ore, modalità, fonti di finanziamento, impatti.
Si delinea quindi una tensione tra la flessibilità prevista e la rigidità richiesta nel controllo. Da qui emerge la necessità di rafforzare la capacità istituzionale, la governance multilivello della formazione e la cultura organizzativa. Una Direttiva, per quanto innovativa, non basta se non è accompagnata da strumenti, competenze e visione.
Al cuore della questione vi è l’idea di apprendimento: non semplice accumulo di contenuti, ma processo trasformativo, inserito nei contesti di lavoro e orientato a risultati significativi e duraturi. La sfida, dunque, non è solo adempiere all’obbligo delle 40 ore, ma costruire ambienti che generino valore pubblico attraverso l’apprendimento. Ciò implica passare da una logica prestazionale a una intenzionale, dove l’analisi dei fabbisogni, la personalizzazione dei percorsi e la qualità delle esperienze formative siano elementi centrali. Solo così la formazione potrà realmente contribuire a un’Amministrazione più competente, motivata e capace di rispondere ai bisogni della società.
In questo quadro, la Direttiva del Ministro rappresenta un segnale politico rilevante per il rilancio della pubblica amministrazione, puntando su professionalità e competenze. Tuttavia, per evitare che la formazione resti un’azione isolata o simbolica, è essenziale ancorarla a sistemi professionali solidi, capaci di tradurre le competenze acquisite in percorsi di carriera riconoscibili e premianti. In assenza di un collegamento effettivo con i sistemi di classificazione e inquadramento del personale, i programmi formativi rischiano di perdere incisività. Sebbene la Direttiva contempli tra le finalità la valorizzazione delle competenze, non vi è un esplicito richiamo al loro collegamento con le progressioni di carriera o le elevate professionalità, e non viene risolta la frattura esistente tra modelli di competenze e ordinamenti professionali. La nuova consapevolezza del ruolo strategico del dipendente pubblico richiede, con urgenza, che l’investimento in formazione e sviluppo di competenze si colleghi in modo strutturale a percorsi di carriera e sistemi di valorizzazione economica. Altrimenti, si rischia di restare imprigionati in dispositivi normativi disallineati e inefficaci.
* Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni degli autori senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza
Approfondimenti
- IFEL (2025), “Il personale dei Comuni italiani – Edizione 2025”: https://www.fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/11843-il-personale-dei-comuni-italiani-edizione-2025
- Portale Syllabus – Sezione Direttive e FAQ: https://www.syllabus.gov.it/
- Direttiva del Ministro della PA Valorizzazione delle persone e produzione di valore pubblico attraverso la formazione. Principi, obiettivi e strumenti del 14 gennaio 2025: https://www.funzionepubblica.gov.it/media/m0rkegdu/Direttiva_ministropa_14012025_formazione.pdf.
- Per il testo aggiornato dell’art. 21 del D.lgs. 165/2001: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2001-03-30;165~art21
- A. Ferraguzzo, G. Papini, “Professionalità e classificazione del personale nel lavoro pubblico”, in CNEL, “Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva”, Roma, 2024
- S. Sancassani, W. Tortorella (a cura di), “Servire al futuro. La formazione nella pubblica amministrazione ai tempi dell’AI”, Carrocci editore, 2024