27 Luglio, 2024

Una lettura socio-ecologica dell’abitare

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La cultura e le politiche egemoni in Occidente dell’ultimo secolo hanno sistematicamente ignorato il ruolo del progresso capitalistico nelle rilevanti mutazioni climatiche, nell’incremento delle disuguaglianze e nei cambiamenti sociali, economici e ambientali dei territori. Tuttavia, le crisi che stiamo vivendo e le fragilità da esse innescate hanno rivelato la nostra fragilità collettiva e l’incapacità di un sistema economico profondamente iniquo di rispondere alle sfide contemporanee (Caramaschi, 2021a). È ormai noto come la crisi climatica provochi bruschi e irreversibili cambiamenti nelle condizioni ambientali, con effetti pericolosi alla scala territoriale.

A fronte delle sfide che siamo chiamati ad affrontare, sempre più studiosi nel campo degli studi urbani stanno ampliando la propria prospettiva, mettendo in relazione temi e questioni con le dimensioni dello sviluppo sostenibile (ecologica, sociale ed economica) per ridurre le disuguaglianze e affrontare il cambiamento climatico. In particolare, alcuni studi adottano una prospettiva analitica socio-ecologica, ovvero guardano simultaneamente a giustizia sociale e ambientale e, dunque, alla distribuzione asimmetrica delle risorse e degli impatti ambientali.

Figura 1 – “Case nuove vuote. L’Aquila 2022, foto di Sara Caramaschi”

Di recente, gli economisti britannici Stefan Horn e Josh Ryan-Collins, hanno applicato questa prospettiva agli housing studies (link). La loro ipotesi è che “la crisi abitativa non è solo un problema di giustizia sociale, ma pone anche una sfida ecologica che richiede un modo diverso di pensare all’allocazione dello spazio domestico”. Se l’ambiente costruito causa il 42% delle emissioni di CO2 e le nuove costruzioni sono responsabili del 6% del totale, promuovere la realizzazione di nuova offerta residenziale per mitigare la crisi abitativa rischia evidentemente di esacerbare il problema ambientale, senza peraltro rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili. Ciò avviene, paradossalmente, in un contesto in cui lo stock abitativo nel suo complesso è piuttosto ampio, visto che mediamente ogni inglese ha a disposizione 37,5 mq di spazio abitabile (dato peraltro in crescita) e anche nella pressatissima Londra il dato si aggira intorno ai 32,5 mq a persona. Più che di carenza di offerta il tema cruciale oggi appare essere la distribuzione e lo stato delle “risorse residenziali” esistenti. Le politiche abitative dovrebbero dunque agire, ad esempio, attraverso l’imposizione di tasse, imposte o regole che penalizzino chi consuma troppo in termini di superficie o chi lascia immobili abitabili vuoti in contesti dove la domanda abitativa è elevata.

Applicando questo ragionamento al contesto italiano, il quadro che emerge è ancora più grave rispetto a quello inglese visto che, secondo il Rapporto Immobiliare 2019 elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in media ci sono ben 67 mq di spazio abitativo a persona. Questo dato allarmante si lega al consumo fortemente diseguale del patrimonio residenziale. Secondo studi della Banca d’Italia, circa il 59% del valore immobiliare è posseduto dal 20% delle famiglie più abbienti e, secondo uno studio del MEF, il 10% dei contribuenti più ricchi, in termini di patrimonio abitativo valutato in base ai valori di mercato, possiede il 35% circa della ricchezza totale (Peverini, 2020).

Figura 2 – “Case nuove vuote. L’Aquila 2022, foto di Sara Caramaschi”

Pur non riflettendo direttamente il “consumo”, la disuguaglianza in termini patrimoniali offre un quadro di quanto diseguale è l’impatto ambientale generato dall’uso più o meno intenso o addirittura dall’inutilizzo della “risorsa residenziale”. Inoltre, come discusso in un altro articolo di questo numero di DiTe (link all’articolo “Qualificare il dibattito intorno all’abitare. Le dinamiche di affordability“ ), la questione può essere in parte raccordata a quella degli squilibri territoriali, con una larga parte del patrimonio residenziale privato che risulta sottoutilizzato o inutilizzato per via della marginalizzazione territoriale del contesto in cui è situata. Semplificando molto, sempre più spesso le case vuote si configurano come un ambito cruciale nei meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze socialmente e spazialmente strutturate. Rispondere a tali questioni è tutt’altro che semplice e le opinioni sono molto differenziate, specie nei paesi occidentali dove l’incidenza del fenomeno è determinata da più fattori in continua evoluzione (Caramaschi, 2021b).

A fronte di questa situazione, risulta estremamente urgente progredire verso approcci, studi e politiche capaci di giocare un ruolo significativo nel ridurre le disuguaglianze e i rischi ambientali di modelli di sviluppo che implichino il progressivo consumo di suolo o la sovrapproduzione di “risorse residenziali”. In altre parole, invece di agire incentivando l’offerta (foss’anche sociale) di alloggi o supportando la domanda attraverso sussidi o sgravi fiscali – che in Italia sull’accesso in proprietà non sono mai mancati e sono intrinsecamente regressivi (Figari, Matsaganis, 2022) – si dovrebbero trovare formule più innovative.

Una lettura socio-ecologica dell’abitare impone dunque di affrontare la questione alla radice, indagando come la casa e le dinamiche abitative ad essa legate possono incidere in modo rilevante sulla (in)sostenibilità di un determinato contesto e permetterebbe di individuare azioni concrete capaci di garantire efficienza economica, valori ecologici e benessere complessivo dei cittadini. Partire dall’abitare per animare nuove strategie sostenibili significa tener conto che le geografie delle fragilità, delle disuguaglianze e del rischio necessitano di politiche mirate e tempi diversificati che permettano processi specifici di transizione ecologica e di riqualificazione.

Per approfondire

Caramaschi S. (2021a), Per uno sviluppo sostenibile. Alcune questioni cruciali (e non più prorogabili) per il futuro. Urbanisticatre, rivista scientifica online: https://bit.ly/3fUmpzO.

Caramaschi S. (2021b), Il verbo abitare non è all’infinito. Sull’inutilizzo del patrimonio abitativo della città contemporanea. CRIOS – Critica degli Ordinamenti Spaziali, 22: 6–15.

Peverini M. (2020), Cosa sappiamo sulla proprietà residenziale in Italia. Lo Stato delle Città, 5: 61–65.

Figari F., Matsaganis M. (2022), L’impatto redistributivo del welfare fiscale in ItaliaWelforum.it, 16 giugno.

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