16 Ottobre, 2024

Il lavoro di comunità come scelta strategica e leva di sviluppo

Tempo di lettura: 4 minuti

Chi lavora nel mondo dell’impegno sociale, per scelta, vocazione, militanza, ha potuto verificare negli ultimi decenni una progressiva perdita di centralità delle politiche pubbliche nel senso costituzionale dell’art. 3. La deresponsabilizzazione dei governi che si sono alternati alla guida della repubblica, più marcata nelle politiche di welfare e, di conseguenza, in quelle di sviluppo, ha gravi conseguenze per chi vive nelle aree estreme, intese sia come aree interne che come aree a bassissima densità di diritti. Soprattutto nel Mezzogiorno, ma non solo, si fanno sempre più ampie le disuguaglianze e cresce il divario in termini di qualità della vita. 

Servizi sociali, sanitari, istruzione, mobilità, lavoro, cultura, ambiente di vita, si sono trasformati da ambiti di riconoscimento di diritti a settori di privilegio. In questo quadro di marginalizzazione progressiva, malgrado esperienze di r-esistenza, frutto di fatiche, saperi e sforzo visionario, i divari sociali aumentano sempre di più. Nemmeno la pandemia ha aperto la strada ad un cambio di prosa. Le politiche pubbliche appaiono sempre più distanti dalla vita delle persone e sempre più centrate su interessi corporativi, di aree geografiche, di appartenenza politica. Ne sono prova le tre grandi riforme in fase di realizzazione: giustizia, autonomia differenziata, premierato. 

In questo contesto di ri-produzione di disuguaglianze, con le responsabilità istituzionali pubbliche sempre più evanescenti e proceduralizzate, come si può agire non solo per costruire isole, ma, per dirla con Morin, per apprendere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza?

Rimanendo alla metafora, il segreto della vita negli arcipelaghi sta molto nella fitta rete di fili invisibili che li collegano tra loro: relazioni fra persone e organizzazioni che trasformano i territori in comunità di destino. Lavorare nel sociale è, oggi più che mai, lavorare con il sociale.

Ciò è tanto più vero per gli enti di terzo settore (ETS). Il lavoro sociale nelle e con le comunità non è solo un metodo, è una scelta politica e strategica da realizzare come gruppo di lavoro multiprofessionale, come reti di organizzazioni che condividono l’obiettivo di promuovere la dignità umana e i diritti sociali di persone e comunità. Intervenendo per la rimozione delle condizioni di marginalità (sociale, sanitaria, culturale, geografica), il lavoro sociale è centrale nello sviluppo delle comunità, soprattutto nelle aree interne del nostro Paese, quelle ad alta rarefazione di popolazione e di diritti. 

In questi luoghi è necessario partire dai contesti di vita, quando si leggono le condizioni di fragilità e quando si ricercano le possibili risposte. È qui che, parafrasando Appadurai, aggredire disuguaglianze e disparità di accesso alle opportunità di inclusione vuol dire attivare la capacità di aspirare.

Gli Enti di Terzo Settore (ETS), consapevoli delle responsabilità pubblica di soggetti che co-costruiscono le politiche pubbliche, devono avere chiaro che il livello di qualità della vita di una comunità è legato al ruolo che gioca ciascun attore del territorio. In Calabria il Consorzio Macramè, operando direttamente in ambito educativo, socioassistenziale e sociosanitario, e dell’economia sociale attraverso la gestione di beni confiscati, ha avviato due esperienze nel solco di quanto appena evidenziato. La prima è costituita dal fondo mutualistico che il consorzio ha realizzato insieme ad altri soggetti profit e non profit e che, a partire da un lavoro intenzionale sulle relazioni, consente di riconoscere diritti a persone in condizioni di fragilità attraverso servizi sociosanitari e microcredito. Il fondo rappresenta uno strumento di cambio culturale e organizzativo. Al modello di mutualità territoriale si accompagna la destrutturazione dell’idea della monetizzazione della salute, proponendo cambiamenti organizzativi nella pubblica amministrazione, tra le persone e la pubblica amministrazione, tra il privato profit e il terzo settore, ecc.

La seconda esperienza riguarda un progetto di sviluppo locale attraverso la costituzione di una Impresa Sociale di Comunità nel comune di Palizzi (Area Pilota Grecanica della SNAI) che, anche attraverso la creazione di un sistema di accoglienza e ospitalità diffusa, mira a bloccare lo spopolamento e attivare processi di innovazione sociale e imprenditoriale centrati sulla valorizzazione delle risorse identitarie della comunità promuovendo capitale sociale, qualità della vita, sviluppo sostenibile.

Promuovere processi di cambiamento all’interno della cornice della mutualità territoriale, nel presente e nel quotidiano delle comunità rarefatte e marginalizzate, significa operare nell’ottica della discontinuità, per cogliere biforcazioni inattese e aspirare a un cambiamento delle condizioni di vita di chi resta e dei pochi che tornano o arrivano.

Ulteriori approfondimenti 

Granaglia E. (2022), Uguaglianza di opportunità – si, ma quale, Laterza, Roma-Bari.

Cersosimo D., Licursi S. (2023), a cura di, Lento pede, Vivere nell’Italia estrema, Donzelli, Roma.

Camarlanghi R., D’Angella F. (2023), Il lavoro sociale in ottica di comunità. Idee, visioni, metodi li lavoro, Le matite di Animazione Sociale, Torino.

Figura 1 – Riunione del Condominio di Comunità @consorzio macramè

Articoli correlati

Politicizzare la “restanza”

La marginalizzazione delle aree interne non è un esito di dinamiche naturali, bensì il risultato di politiche pubbliche urbanocentriche, che hanno aumentato le disuguaglianze territoriali. Per invertire le tendenze servono sguardi nuovi, dare voce ai residenti, a chi è restato e a chi è tornato a vivere in altura, ascoltare chi vuole partire, gli innovatori, quanti manutengono e rafforzano le relazioni e l’economia minuta dei paesi. Sul piano delle politiche, bisogna superare la normatività del tot e costruire nuove forme di intervento pubblico attente alle persone nei singoli luoghi.

Un welfare su misura per le aree demograficamente rarefatte

Le trasformazioni demografiche in atto in Italia hanno già, e avranno in un futuro molto vicino, importanti ricadute sulla coesione sociale. Richiedono attente valutazioni nel campo delle politiche di welfare e percorsi sperimentali da avviare in tempi rapidi. Perché non iniziare dai contesti territoriali in cui la presenza umana si è ridotta più marcatamente, nelle aree interne contrassegnate dalla rarefazione demografica? Servono un approccio place based e uno sguardo che fa del margine un osservatorio privilegiato per l’analisi di questioni che riguardano l’intero Paese.

Spopolamento e bellezza, accoglienza e parola

Le politiche di contrasto allo spopolamento delle aree interne possono diventare vincenti se sensibili ai luoghi e alle persone che li abitano, se strettamente connesse e ispirate alle peculiarità del territorio e all’identità culturale di chi ci vive. Dovrebbero alimentare, in chi non ha ancora abbandonato la propria terra e nei giovani che si sono assentati per studiare o che sono andati a lavorare altrove, la consapevolezza di quello che il territorio ha da dare. In modo da innescare “sguardi nuovi” su “antiche certezze”, attualizzare il presente senza dimenticare il passato, immaginare come essere protagonisti nel futuro. In tutto questo la “bellezza” e la “parola” sono due dimensioni fondamentali, innate e presenti, magari dormienti e pertanto riattivabili