21 Maggio, 2025

Bologna: una piccola ma emblematica storia di overtourism

Tempo di lettura: 6 minuti

Negli ultimi decenni, Bologna ha registrato un significativo incremento dei flussi turistici, affermandosi come una destinazione privilegiata per viaggiatori interessati alla cultura locale e alle eccellenze enogastronomiche. Pur confrontandosi con la forte competitività di città come Firenze, Roma e Venezia, Bologna è riuscita a costruire una solida identità turistica distintiva. Questo sviluppo è stato sostenuto da un modello di turismo prevalentemente orientato a soggiorni brevi e weekend, reso possibile grazie alla sua eccellente accessibilità, garantita da una rete infrastrutturale avanzata e dalla qualità elevata delle strutture ricettive.

Nel 2009 Ryanair, già affermata come uno dei principali operatori europei, sceglie l’aeroporto di Bologna come hub strategico in Italia, grazie a un accordo frutto della collaborazione tra operatori privati (Camera di Commercio), enti pubblici (Comune e Regione) e partecipate (aeroporto). La compagnia irlandese rivoluziona il mercato puntando su prezzi competitivi e rotte dirette tra città di medie dimensioni, come Bologna. Questo accordo contribuisce a una crescita esponenziale del traffico aeroportuale: dai 4,8 milioni di passeggeri del 2009 (3,1% del mercato nazionale) ai 9,9 milioni del 2023 (5,1%), quasi un quarto del traffico di Fiumicino (Assaeroporti, 2024).

Al netto di chi atterra al Marconi per andare altrove, Bologna coglie pienamente i frutti di Ryanair, e gli arrivi turistici in città e provincia passano da 1.4 milioni del 2009 ai 2.5 del 2023, un aumento di quasi l’80% che si riflette con percentuali simili anche nei pernottamenti. Con due tendenze particolari: gli aumenti sono più marcati nel turismo inbound (+126% nei pernottamenti e +116% negli arrivi) e nel settore extra-alberghiero, i cui pernottamenti complessivi quadruplicano, passando dai 370 mila del 2009 a 1.4 milioni del 2023 (Istat, 2024). Gli anni Dieci del 2000 sono gli anni in cui il turismo si afferma a Bologna come un’attività win-win: gli operatori del turismo sono contenti, anche perché gli alberghi riescono a destagionalizzare i flussi, ora più bilanciati in tutti i mesi dell’anno e tra giorni feriali e festivi. I turisti, soprattutto quelli Europei, sono contenti perché scoprono una città piacevole e con un’offerta culturale e gastronomica di eccellenza. I cittadini sono contenti, perché chi non è contento di vivere in una città che fa luccicare gli occhi a chi la visita e che inizia a diventare una meta di riferimento anche a livello internazionale?

Poi arriva Airbnb

Nei primi anni di Ryanair e delle low-cost, i turisti si affidano principalmente a hotel o ai pochi B&B tradizionali, con alternative limitate. Airbnb, nato nel 2007, inizia a rivoluzionare il settore dalla seconda metà degli anni 2010, e Bologna non fa eccezione, pur restando sottostimato nelle statistiche ufficiali. I dati ufficiali includono solo strutture con finalità commerciali (B&B, residence, alloggi per vacanze), escludendo gli affitti brevi di privati, che dominano su Airbnb.  

Ai 3 milioni di pernottamenti ufficiali si devono quindi aggiungere circa 2 milioni di soggiorni Airbnb. Nel 2024, Bologna conta 6200 annunci sulla piattaforma, di cui 4400 attivi, con un prezzo medio di €145 e un reddito medio giornaliero di €97. Gli appartamenti generano circa €3000 al mese, una cifra superiore agli affitti residenziali, anche considerando spese e commissioni. L’offerta degli affitti brevi è ormai integrata in altre piattaforme, come Booking.com, consolidando il protagonismo del mercato extra-alberghiero.

Tourists go home

Nel 2024, le scritte che appaiono in molte città europee sono ormai visibili anche a Bologna, l’ultima delle quali sul ponte del canale Reno in via Malcontenti, un luogo molto Instagrammabile. Tuttavia, rinunciare ai servizi di Airbnb significherebbe rinunciare non solo al turismo, ma anche all’arricchimento esperienziale e culturale che il viaggio porta con sé. Il turismo è infatti diventato un bene irrinunciabile nelle società moderne, ciò che l’economia definisce bene necessario. 

Airbnb ha colmato un vuoto, rispondendo a una domanda crescente di un turismo più informale e autonomo, che non vuole vincolarsi agli orari degli hotel, preferendo appartamenti dove rilassarsi e cucinare. La soluzione ai problemi del turismo contemporaneo, però, deve essere diversa.  

Le attività economiche, come il turismo, evolvono in modi imprevedibili. Ryanair e Airbnb sono esempi di innovazioni distruttive che, seppur di successo, creano vincitori e vinti, e richiedono una gestione politica della transizione. Tuttavia, a differenza di altre innovazioni sociali più sostenibili, la rivoluzione nel modo di viaggiare e di alloggiare è insostenibile, sia a livello ambientale, per le emissioni del trasporto aereo, sia a livello sociale, per i processi di gentrificazione.  

A Bologna, 6200 annunci su Airbnb corrispondono a circa 15-20 mila posti letto, spazi vitali sottratti a lavoratori e studenti, soprattutto nelle zone centrali e semi-periferiche della città (Facchini, 2022). Questo impatta una comunità di 350 mila residenti ufficiali, con tutti i disagi ben noti: dalla mercificazione dell’offerta culturale, all’aumento del costo della vita, dalla perdita di autenticità alla polarizzazione dei conflitti sull’uso del territorio, come evidenziato dalle recenti proteste a Barcellona e in altre città spagnole (Milano et al., 2024, AA.VV, 2024). Inoltre, il mercato immobiliare subisce profonde trasformazioni, con investimenti da parte di società che vedono negli affitti a breve termine un’ulteriore opportunità di profitto.

Dove è la politica del turismo?

La regolamentazione degli affitti brevi in Italia richiede un intervento legislativo nazionale, che definisca le linee guida generali, lasciando poi alle singole città la possibilità di adattarle alle proprie specificità. Guardando alle esperienze internazionali, si delineano tre principali direzioni per l’intervento normativo. 

La prima è quella di imporre un numero massimo di giorni in cui l’alloggio può essere affittato senza diventare attività commerciale. Se però ci si orienta ad un numero attorno ai 180 giorni l’effetto sarà minimo (attualmente a Bologna il tasso di occupazione è di circa 200 giorni all’anno). Di conseguenza, pochi saranno gli immobili che torneranno sul mercato residenziale. 

La seconda proposta prevede di limitare il numero di licenze per affitti brevi in base alle condizioni locali del mercato immobiliare. Questa soluzione, però, discrimina fortemente tra chi è “licenziato” (insider) e chi no (outsider), creando un problema di accesso e un mercato di serie A e uno di serie B. 

La terza proposta va nella direzione di stabilire una durata minima per il contratto d’affitto breve. Naturalmente sono risibili le proposte che identificano in 2 o 3 giorni la durata minima. Barcellona, per fare un esempio, imporrà 30 giorni minimi di permanenza a partire dal 2028. Riportando così l’intero mercato dell’affitto immobiliare sul residenziale o semi-residenziale. Questa sembra la proposta più adeguata e la più condivisibile.

Tuttavia, Bologna, pur dovendo regolamentare l’uso di Airbnb, non può ignorare l’importanza economica del turismo per la città, stimato dalla Camera di Commercio locale in circa 3 miliardi di euro, ovvero il 7% del PIL cittadino. Per i 2 milioni di pernottamenti attualmente assorbiti dalla piattaforma, è necessario trovare soluzioni alternative. Una ristrutturazione alberghiera mirata alla creazione di mini appartamenti indipendenti, con eventuali servizi comuni, potrebbe rispondere adeguatamente alla domanda turistica attuale. In assenza di tale adattamento, una parte significativa dei flussi turistici cesserebbe, con ricadute negative sull’economia cittadina. Inoltre, i Bolognesi rischierebbero di trovarsi a vivere in una città priva della vivacità che il turismo attualmente porta, con il rischio di un innegabile impoverimento culturale e sociale.

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