29 Settembre, 2023

Urbanistica e governo dell’economia: un declino pericoloso

Tempo di lettura: 6 minuti

La pianificazione urbanistica ovvero quella funzione attribuita ai comuni di determinare attraverso il piano – ordinata temporale e spaziale a fini di risultato – un assetto ordinato degli interessi sul territorio sta subendo profondi mutamenti. Sono modificazioni significative consolidatesi nel tempo a partire sia dalla legge 179/1992 – art. 16 – sui programmi integrati d’intervento, sia per effetto dei nuovi modelli regionali di piano, sia per l’ingresso delle premialità edificatorie favorite sia dal piano casa del 2009, sia dalla legge 106/2011 art. 5, norme che hanno prodotto numerose leggi regionali di rigenerazione urbana.

L’esito di queste innovazioni si riflette sui procedimenti di pianificazione che da atti generali assumono il carattere di piani settoriali in variante allo strumento urbanistico generale o in attuazione di prescrizioni generali dettate dal piano strutturale per gli ambiti di trasformazione.

La vicenda – prima di entrare nel merito dei problemi giuridici – affonda le sue radici nella fine dei piani di espansione degli anni ’60 a favore di un ripensamento della città consolidata da demolire e ricostruire, cambiandone la destinazione d’uso e aggiungendovi premialità a tutto campo. In breve, se come sosteneva un grande giurista del secolo scorso – Feliciano Benvenuti – l’urbanistica governa l’economia, l’assunto sembra oggi cedere il passo a favore delle logiche del mercato finanziario e immobiliare a scapito degli interessi generali della collettività rappresentata. D’altronde, la riconversione, riqualificazione, rigenerazione nelle zone urbanizzate della città offre incrementi di valore agli investimenti finanziari che spesso non hanno nulla a che fare col significato di quei termini. Siamo, in altre parole, nel pieno della vicenda della città capitalista evocata da David Harvey.

Figura 1 – Verde & Urbanistica @proambiente

Fatte queste premesse, la vicenda urbanistica coinvolge necessariamente il ruolo della pubblica amministrazione – i comuni – che nel processo di formazione della volontà politica di determinazione dell’assetto dei suoli devono necessariamente ricorrere al consenso del privato attraverso la stipula di accordi procedimentali o sostitutivi di procedimento al fine di cristallizzare il contenuto delle prescrizioni sul territorio considerato.

In tal modo nell’esercizio del potere è inevitabile il ricorso agli accordi disciplinati dall’art. 11 della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, specialmente perché il consenso è legittimazione del potere.

La domanda che emerge è se questa amministrazione – nel processo di composizione degli interessi da determinare sul territorio da ripensare – sia in grado non solo di disciplinare il procedimento ma, soprattutto, di soddisfare l’interesse pubblico che costituisce il fine precipuo della azione amministrativa.

E proprio qui sta il punto centrale delle riflessioni, quello cioè di individuare le regole per “misurare” l’interesse pubblico in rapporto al processo di trasformazione/rigenerazione che si appalesa in caso di varianti urbanistiche o in caso di attuazione della mixité delle soluzioni urbanistico/edilizie offerte dalle previsioni del piano.

A guardar bene infatti le trasformazioni in corso in alcune città (Milano, Roma) in relazione all’edificabilità delle aree ferroviarie o anche guardando alle disposizioni attuative di alcuni piani strutturali, emerge con forza la marcata discrezionalità nel determinare le scelte di trasformazione che, in caso di variazione di piano non poggiano su nessun presupposto, ma anche nel caso dei piani operativi le soluzioni urbanistiche si prestano ad essere il risultato di una pura contrattazione sull’assetto futuro delle aree, essendo molto labili i parametri di riferimento (standard, destinazioni d’uso, premialità).

Dovendo quindi affrontare il tema delle “regole” il punto di riferimento normativo per le amministrazioni è costituito dall’analisi dell’art. 11 richiamato ove si disciplina il procedimento dell’accordo integrativo o di quello sostitutivo di provvedimento.

In due soli commi 1 e 1bis è racchiuso il procedimento applicabile alla pianificazione urbanistica cui si aggiunge in linea generale il comma 2 bis dell’articolo 1 principi generali dell’attività amministrativa che richiama il principio di collaborazione e buona fede nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.

Figura 2 – High Line New York @shutterstock

È certamente poca cosa ma costituisce il fondamento sia della legittimazione dell’azione amministrativa a misurarsi tra “autorità e consenso” sia dell’obbligo della Pubblica Amministrazioni ad agire attraverso forme partecipative per determinare il nuovo assetto dei suoli da rigenerare.

Sulla base di tali esigenze da soddisfare, va richiamata la legislazione regionale che a questi fini ha previsto una disciplina della partecipazione popolare alle scelte di pianificazione – che potremmo chiamare “degli accordi normativi – rinviando all’autonomia dei comuni la fissazione delle “regole” mediante regolamenti comunali.

È assodato, tuttavia, che le pratiche ora richiamate non sembrano costituire un punto fermo dell’azione amministrativa specie lì dove si muovono forti interessi economici in deroga al piano e, d’altronde, dopo la separazione tra politica e amministrazione questa costituisce spesso un solco invalicabile tra la volontà politica del governo locale e la funzione amministrativa alla cui osservanza è tenuta l’amministrazione esecutiva. Si allude qui alla responsabilità dei dirigenti cui compete la regolamentazione del procedimento partecipativo o contrattuale di cui all’art 11. E sotto quest’ultimo profilo è noto che l’accordo sostitutivo di provvedimento richiama il comma 2 dell’art. 11 relativamente ai principi del Codice civile in materia di obbligazioni e contratti, ed in particolare il comma 4 bis ove, non a caso, viene richiamata la determinazione preventiva dell’organo competente all’adozione del provvedimento. Danno erariale, interessi privati in atti d’ufficio, dolo o colpa grave minano in molti casi la decisione ai fini dell’attuazione degli interventi.

È proprio questo il caso in cui potrebbe emergere il tema della mancata o inadeguata misurazione dell’interesse pubblico in rapporto alla soddisfazione degli interessi privati.

La questione evoca il tema più generale della crisi della democrazia rappresentativa poiché molto spesso i governi locali non sono in grado di interpretare gli interessi della collettività – tanto più nel caso della riqualificazione di parti di città – cosicché assistiamo – specie nel caso di progetti in variazione al piano – all’emergere di un terzo soggetto – escluso dalla partecipazione alla codeterminazione degli assetti urbanistici – che si pone come antagonista delle scelte in funzione degli interessi pubblici da perseguire. È il caso delle associazioni ambientaliste, dei comitati cittadini – in breve degli interessi diffusi.

L’ammissibilità di questi soggetti a ricorrere al giudice amministrativo contro i provvedimenti pianificatori che mettono in essere scambi ineguali o sleali, ovvero che non rispondono al perseguimento dell’interesse pubblico, costituisce un altro elemento di riflessione per riportare la trasformazione urbana nell’ambito della legalità.

Ulteriori approfondimenti

Urbani P. (2020), Istituzioni, Economia; territorio. Il gioco delle responsabilità nelle politiche di sviluppo. Giappichelli.

Articoli correlati

Sei lezioni dalle città del 2023

Il testo prende in esame sei lezioni apprese dalle presentazioni di Abitare il Vortice nelle città italiane nel 2023. 1) L’abitare si è posto ovunque al centro della discussione sulle città, e non se ne andrà 2) Il cambio di passo nella lotta alla gentrificazione 3) L’egemonia incontrastata dell’overtourism 4) C’è una domanda sempre più diffusa di città 5) C’è una sete enorme di sapere pubblico e condiviso sulla città 6) C’è una domanda pervasiva di nuovi immaginari urbani.

Di chi è la città?

Seguendo allo stesso tempo l’evoluzione del dibattito e il percorso personale dell’autore, “Abitare il vortice” esemplifica efficacemente la necessità di guardare oltre le forme che la città assume per indagare i processi che tali forme producono, a partire da alcuni interrogativi finalmente divenuti centrali ma in larga parte irrisolti: come si produce ‘valore’ nella città e nell’economia urbana contemporanea? Chi lo produce, e chi se ne appropria? Di chi è la città? E come fare per riappropriarsene?

Indizi per capire come funzionano le città

Il libro di Niessen offre una profonda analisi della società urbana contemporanea, esplorandone alcuni processi chiave a partire da un insieme molto organico composto da piccole storie e grandi sistemi, dettagli e sguardi d’insieme, storie e aneddoti. L’autore ci invita a riflettere sul significato di cultura, sulle forze che mettono la nostra vita sociale in pericolo ma offre anche gli strumenti da mettere in campo per riprendersi la città.

I vortici urbani, tra città-merce e nuovi spazi del dissenso

Nel suo Abitare il vortice Bertram Niessen analizza criticamente la realtà della città contemporanea, interessata da processi sempre più spinti di finanziarizzazione, gentrificazione e turistificazione, e ciononostante ancora capace di produrre nuove spazialità e pratiche collettive di dissenso. Dalla sua lettura sembra emergere una evidente dualità: quella tra città “concepita”, plasmata dalle amministrazioni, dal capitale finanziario e dal city branding, e città “praticata”, animata dai movimenti dal basso e da una cultura diffusa che apre costantemente a nuovi modi di fare comunità.

Penisola felix. La costruzione di una città metromarina lineare

La Direttiva 2006/123/CE, cosiddetta Bolkenstein, “liberalizza” l’esercizio delle attività economiche con forti ripercussioni sulla regolamentazione italiana nel rilascio delle concessioni demaniali a finalità turistico-ricreative a operatori economici privati. Riflettere sul futuro delle coste implica aprire una discussione profonda e articolata capace di oltrepassare questioni specifiche e di svelare nuove potenzialità di vasti territori.