Soffermandosi nell’osservazione dei luoghi attraversati nel nostro quotidiano, possiamo notare che vi è un forte squilibrio nella rappresentazione pubblica dei generi, gli spazi pubblici non sono neutrali: dominati da gruppi che prevalgono nella nostra società, sono sagomati dallo sguardo maschile e disegnati per essere usati da parte di gruppi specifici.
L’etero patriarcato è incarnato dall’architettura e dalle sculture, le statue presenti in una città e in cui è possibile imbattersi nello spazio pubblico, rappresentano spesso l’eteronormatività bianca, abilista, occidentale, esclusiva.
Di fronte a queste l’intersezionalità manca di narrazioni e rappresentazioni.
I monumenti fanno il loro lavoro in quanto testimonianza di chi ha potuto governare lo spazio pubblico. Le denominazioni delle strade, delle stazioni della metropolitana, dedicate a figure femminili, sono in percentuale quasi assente se comparate con quelle di figure maschili.
L’architettura dei monumenti e dei memoriali, lo spazio pubblico che quotidianamente attraversiamo, sono voce e incarnato di chi questo spazio ha potuto occuparlo.
Da qui ne deriva un senso di non appartenenza e non legittimità nello spazio, non essere rappresentati per il proprio passato, infatti, induce i soggetti presi in causa e giustifica gli osservatori a pensare di non aver diritto ad un presente.
Charles Pierce, filosofo e semiologo statunitense, individua nella sua pubblicazione “Nomenclature and Divisions of Triadic Relations” (1903), tre livelli di classificazione dei segni che si rispecchiano nel modo in cui ci relazioniamo agli oggetti: iconico, indicale e simbolico.
L’iconicità esprime il momento della ‘primità’ o likeness (somiglianza). L’idea è che ogni conoscenza abbia una base nell’assimilazione del nuovo, che lo avvicina a qualcosa che già conosciamo, è un “riconoscere”;
L’indicalità (o secondità), è il nesso in qualche modo ‘fisico’ col correlato, ad esempio una direzione nello spazio;
Parliamo, invece, di simbolicità (o terzità) quando il simbolo dipende da una convenzione o ‘abito’, ovvero il significato che diamo ad un’immagine o ad un oggetto.
Provando ad applicare questo concetto della semiotica al nostro attraversamento dello spazio, e alla relazione che stabiliamo con oggetti e monumenti, potremmo provare a prendere in esame l’oggetto statua, elemento concreto e ordinario della nostra quotidianità.
La statua rappresenta, in un primo livello di osservazione, un’icona, un’immagine rappresentativa di qualcosa o qualcuno; sul piano indicale ci si sofferma su quello che la statua racconta, che sia l’episodio o la vita di un personaggio; sul piano simbolico, possiamo invece leggerne i significati che acquisisce e i valori che trasmette a chi osserva, a chi ne fruisce.
Su quanto sia importante la rappresentazione riflette anche lo psicologo Albert Bandura (1977), è proprio l’autore infatti a spiegare come nelle prime fasi di sviluppo tendiamo ad effettuare un apprendimento di tipo osservativo, imitando quindi ciò che vediamo.
Se le donne e le ragazze non vedono i personaggi femminili che sono passati alla storia venir rappresentati e quindi di conseguenza onorati nelle loro città tanto quanto gli uomini, possono effettivamente correre il rischio di pensare di non essere capaci di raggiungere eguali obiettivi, limitando di conseguenza le proprie azioni future.
Dalle statistiche, possiamo infatti notare come in percentuale, nella storia quanto nell’attualità, sono in minoranza le giovani donne che aspirano a campi come la scienza, la politica e gli affari.
Si muovono a partire da questo discorso le recenti iniziative intraprese a Milano: è nel 2019 che viene installata nella città la prima statua dedicata ad una figura femminile (che non sia legata alla religione e quindi all’immagine della donna come di purezza o santità), ed è quella della giornalista e scrittrice che partecipò al Rinascimento italiano, Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Sulla stessa scia è stato indetto nella stessa città un concorso, dedicato a sole artiste donne, che ha visto la progettazione della statua dedicata all’astrofisica e divulgatrice scientifica Margherita Hack e che verrà prossimamente installata.
Guardando alla questione in ottica intersezionale, discorso che andrebbe però affrontato più dettagliatamente, si potrebbe citare l’Homomonument, primo monumento in commemorazione delle vittime di persecuzione per orientamento sessuale inaugurato ad Amsterdam nel 1987 così come l’affissione delle Raimbow Plaque, nate da un progetto coordinato da Kit Heyam e Helen Graham per l’università di Leeds, che partendo dagli stessi ragionamenti fatti in precedenza, furono un tentativo di risposta alla problematica della commemorazione e del dare visibilità a persone appartenenti alla comunità Lgbtqi+. Semplici targhe di cartone che non solo danno modo di sentire una connessione diretta con la storia dello spazio che la comunità abita ma anche come utile elemento di lotta verso elementi resi intoccabili in nome della “tradizione”.
Un lavoro di revisione delle narrazioni che non si può certamente limitare e delegare a piccole esperienze sporadiche o ad azioni temporanee e che andrebbe inserito in un più ampio dibattito pubblico sulla città.
Queste iniziative, infatti, sono esempio sì di quello che sarebbe un auspicabile paesaggio futuro, ma anche strumento di sollecito alle amministrazioni, affinché si arrivi all’adozione di una strategia per colmare il divario di genere nelle sculture pubbliche e altre raffigurazioni nella città.
Riferimenti bibliografici
- Bandura, A. (1977). Social Learning Theory. New York: General Learning Press.
- Peirce, C.S. (1903) Nomenclature and Divisions of Triadic Relations, as far as they are determined, EP.
- Tavola rotonda: Lo spazio pubblico delle donne, Bocconi per Bookcity, Milano, 18 Novembre 2021.