Interpretare territori, invertendo il punto di vista
Dalla foce del Po a Trieste e al confine con la Slovenia, l’ambito marino e costiero dell’Alto Adriatico è denso di usi, economie, patrimoni storici e ambientali. Questo tratto ristretto del Mediterraneo è un ‘mare solido’ e affollato: attraversato da corridoi acquei e terrestri strategici, animato da intensi flussi di persone e merci, e punteggiato da poli portuali e logistici di rilevanza internazionale. L’elevato grado di ‘urbanizzazione’ del mare si intreccia con dinamiche meteo-climatiche ed ecologiche complesse, che ne fanno un hotspot della transizione. Parallelamente, lungo il litorale, secoli di interventi di bonifica hanno modellato un territorio oggi mediamente posto a un metro e mezzo sotto l’attuale livello marino. Questa condizione espone l’area a rischi crescenti – allagamenti, inondazioni, stress idrico e intrusione salina – che mettono in discussione la stabilità e la compatibilità degli assetti insediativi e produttivi esistenti.
Definire profondità e struttura della fascia costiera costituisce un passaggio interpretativo essenziale per comprendere e governare tali processi. Il margine verso l’entroterra coincide con i principali assi infrastrutturali, disposti parallelamente al litorale a una distanza compresa tra 20 e 40 chilometri, lungo i quali si concentrano centri urbani di diverse dimensioni. Da questi si dirama una rete viaria ‘a pettine’ che connette le località balneari, portuali e logistiche costiere, soggetta in estate a rilevanti problemi di congestionamento del traffico. L’area si articola in sistemi ambientali e insediativi eterogenei – dal Delta del Po alla rete policentrica veneta, dalla bassa pianura tra Cavallino e Monfalcone al Golfo di Trieste – le cui specificità rappresentano un quadro di riferimento imprescindibile per future strategie di adattamento (fig. 1).

Tra il 2022 e il 2025 questi territori sono stati al centro delle attività di iNEST – Interconnected Nord-Est Innovation Ecosystem, uno degli undici Ecosistemi dell’Innovazione promossi dal Ministero dell’Università e della Ricerca con i fondi del PNRR. Coordinato dall’Università di Trieste, lo Spoke 8 – Tecnologie marittime, marine e delle acque interne: verso il Gemello Digitale dell’Alto Adriatico include diversi Research Topic. Tra di essi, RT4 è dedicato alla pianificazione spaziale integrata terra-mare e alla mobilità sostenibile tra terraferma, acque marine e interne, con un focus sulle coste basse del Friuli Venezia Giulia tra Monfalcone e Lignano Sabbiadoro, sui sistemi infrastrutturali e sui servizi di supporto a movimenti turistici e pendolarismi quotidiani.
RT4 propone di tornare a osservare i contesti dell’Alto Adriatico da una prospettiva per certi versi ancora scarsamente praticata, dal mare verso la terra, per concentrarsi sulle loro plurali e mutevoli interazioni. Non si tratta di uno sguardo inedito; è infatti da decenni che la Commissione Europea indirizza gli Stati membri verso l’integrazione di Maritime Spatial Planning, Integrated Coastal Management e Climate Adaptation Planning. Tuttavia, questo auspicato cambio di paradigma ancora fatica a tradursi in pratiche operative, disperdendosi in una molteplicità di strumenti e livelli di pianificazione poco coordinati. L’ipotesi di lavoro è che da un ribaltamento di prospettiva, e dall’assunzione della mobilità come leva per ripensare accessibilità e organizzazione territoriale, possano derivare approcci innovativi, capaci di affrontare congiuntamente urgenze del presente, sfide ecologico-ambientali e processi di trasformazione di lungo termine.
Mappe strategiche per un futuro anteriore
La ricerca muove da interrogativi ambiziosi: quali strategie di indagine cartografica e progettuale possono contribuire alla costruzione di un Gemello Digitale e alla domanda ‘What if’ che lo orienta? Come trasformare tale strumento in un supporto utile per immaginare e visualizzare nuovi modi di abitare i territori costieri? A queste domande si accompagnano questioni cruciali per territori a rischio: la resilienza delle reti infrastrutturali e dei servizi di mobilità pubblica a garanzia dell’accessibilità ad attrezzature e servizi fondamentali; la capacità di tali dotazioni di sostenere nuove economie d’acqua e di terra, in contesti turistici e rurali sempre più fragili a fronte di costi energetici e impatti ambientali crescenti.
Per rispondere a tali sfide, gli esiti della ricerca si pongono su più livelli: descrizioni cartografiche di struttura fisica e usi del territorio, delle sue vulnerabilità meteo-climatiche, dei movimenti stagionali marittimi e terrestri; analisi critiche degli strumenti di pianificazione vigenti; individuazione di ‘transetti’ territoriali – tra mare, laguna ed entroterra – lungo i tratti navigabili dei fiumi Stella, Aussa e Corno, Natissa e Isonzo ed elaborazione di mappe strategiche di progetto. L’obiettivo è di affrontare temi chiave per il futuro della fascia marina e costiera dell’Alto Adriatico: adattamento climatico e decarbonizzazione; tutela della biodiversità; sviluppo di nuove attività; costruzione di inedite condizioni di vivibilità per contesti ormai ‘anfibi’ (fig. 2).

Le immagini prodotte si collocano tra interpretazione del presente e visione del futuro: un ‘futuro anteriore’ che, radicato nel passato, già si manifesta nelle trasformazioni in corso. Nel tentativo di dare forma progettuale a tali mutazioni, la domanda di fondo si è perciò via via trasformata da ‘What if?’ a ‘Now what?’. Se la tempistica delle transizioni resta incerta, i loro effetti sono evidenti e richiedono rapide risposte. In questo quadro si inserisce la ricerca “Diluvio. Visualizzare l’impensabile”, finanziata dal bando Young Researchers di iNEST – Spoke 8, come contributo alla costruzione di una descrizione densa dell’Alto Adriatico e di nuove geografie del rischio e dell’adattamento ai cambiamenti climatici, con particolare attenzione alla perdita di importanti valori immobiliari e identitari.
Un progetto radicale dalle molte ripercussioni valoriali
Nelle fasce costiere prossime ai fiumi, prendere sul serio gli effetti di una presenza sempre più invasiva di acque dolci e salate significa mobilitare un pensiero progettuale radicale sul funzionamento del territorio nel suo complesso, sui suoi principi ed ecologie profonde. In tale prospettiva, la transizione climatica impone di guardare al progetto stesso come a un atto biopolitico, segnato da ineludibili questioni di giustizia spaziale, sociale e ambientale da cui traguardare le scelte presenti e future.
Pur in rapida metamorfosi, lo spazio continua a dettare le regole del gioco. L’assetto fisico del territorio si manifesta come un ‘incunabolo’, oggetto di riscritture continue che conservano la memoria di pratiche sociali e attività, di storie stratificate e di processi geologici e ambientali. Anche se talvolta difficili da decifrare, i segni di tali dinamiche persistono, così come i loro valori economici e patrimoniali. Al contempo, lo spazio – suolo o acqua, nelle loro molteplici forme e mescolanze – non è un semplice sfondo neutro: la crisi climatica e la consapevolezza dei suoi effetti ne rivelano la dimensione vivente, la forza distruttiva e l’essenziale contributo a qualità e riproduzione dei cicli biologici. Valori, questi ultimi, a cui occorre dare voce all’interno di processi che sempre più li pongono in conflitto con altri interessi – in primis di natura immobiliare.
Parallelamente, il tema del tempo e del suo incessante fluire assume un ruolo centrale. Una centralità che implica l’accettazione della perdita, dello scarto e della fine dei cicli di vita, ma anche la consapevolezza che i tentativi di governare la transizione sono essi stessi provvisori e dagli esiti incerti. Ciò non attenua la responsabilità del progetto; al contrario, richiede un attento esercizio di posizionamento delle immagini e delle indicazioni che esso produce, del loro modo di interpretare e abitare le trasformazioni, anche se per durate limitate. L’appello è a guadagnare tempo, costruendo azioni che accompagnino il difficile cambiamento di spazi e immaginari, mantenendo una prospettiva strategica e lungimirante.
*La ricerca è stata realizzata con il cofinanziamento dell’ Unione europea – NextGenerationEU, finanziamento n. ECS00000043 – CUP J43C22000320006, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR – IT), Missione 4 “Istruzione e Ricerca”, Componente 2, Investimento 1.5, Interconnected Nord-Est Innovation (iNEST) Ecosystem, Spoke 8. Per l’Università di Trieste, il gruppo di ricerca è composto da: Elena Marchigiani (coordinamento scientifico generale), Ludovico Centis, Alvise Pagnacco, Federico Vascotto e Stefano Graziani. Per l’Università Iuav di Venezia, partner associato, i partecipanti sono: Francesco Musco (coordinatore), Daniele Brigolin, Barbara Gasparini di Gaetano, Sebastiano Fabbrini, Emanuel Giannotti, Davide Longato, Giulia Lucertini, Maria Manfroni, Denis Maragno, Vittore Negretto, Michela Pace, Nicola Romanato, Elisa Scattolin, Stefania Tonin, Maria Chiara Tosi, Luca Velo.
Approfondimenti
- Centis, L., Marchigiani, E. (2025) “A view from the Adriatic Sea. Innovation Ecosystems and applied research for climate transition”. Territorio, n. 108-109, pp. 129-144. Doi: 10.3280/TR2024-108012OA.
- Marchigiani E., Centis, L., Giannotti, E., Maragno, D. (2025) Tutto cambia: una diversa mobilità tra acque e terre. Conegliano: Anteferma. Doi: https://doi.org/10.57623/979-12-5953-247-3.
- Viganò, P. (2023) Il giardino biopolitico. Spazi, vite e transizione. Roma: Donzelli.


