Sulla scia dei recenti sconvolgimenti globali, dalle crisi finanziarie alla pandemia di COVID-19 e ai conflitti, le istituzioni si trovano a un bivio cruciale: garantire la sicurezza delle catene globali del valore (note come GVCs), mantenendo la competitività derivante dal libero commercio. In questo contesto, l’Unione europea ha adottato l’approccio di Open Strategic Autonomy, un quadro strategico per affrontare le trasformazioni tecnologiche e geopolitiche globali[1], nel quale il nearshoring riveste un ruolo chiave. Attraverso la riorganizzazione dei processi produttivi privilegiando l’approvvigionamento di materie prime e beni intermedi da paesi o aree più vicini, il nearshoring può rafforzare la resilienza e il controllo sulle filiere critiche, mantenendo al contempo la competitività dei propri prodotti.
Tuttavia, le implicazioni del nearshoring vanno oltre questi obiettivi immediati. Infatti, sebbene il nearshoring prometta crescita economica attraverso una maggiore partecipazione alle GVCs, i benefici potrebbero non tradursi in una distribuzione equa del reddito, traducendosi nel “lato oscuro della globalizzazione”[2]. Questo rende indispensabile un’analisi approfondita delle complesse dinamiche in gioco, ancor più importante a livello regionale in Europa, già caratterizzata da significative disuguaglianze inter- e intra-paese. Questo processo potrebbe aprire a vantaggi per il rilancio delle aree meno avanzate, che sanno offrire alla produzione che si porta in Europa vantaggi di basso costo del lavoro.
Comprendere le implicazioni regionali del nearshoring sulla crescita è essenziale per valutare il suo reale effetto sulle disparità territoriali. In Capello e Dellisanti (2024) abbiamo analizzato l’impatto del nearshoring, stimando i vantaggi di crescita per differenti aree che accolgono la produzione riportata in Europa, individuate solo recentemente grazie alla disponibilità di matrici input-output con disaggregazione regionale e settoriale per tutt’Europa[3], fondamentale per questo esercizio. Le regioni che ospitano produzione riportata in Europa sono state a loro volta distinte in base ai diversi vantaggi di efficienza che offrono alle dinamiche del nearshoring. In particolare, si possono identificare due categorie di regioni: le regioni arretrate, che attraggono il nearshoring grazie ai prezzi competitivi del costo del lavoro, e le regioni sviluppate, che ospitano una produzione di qualità ed efficienza superiori raggiunte anche attraverso l’elevata automazione dei loro processi produttivi. Se, come prevedibile, il nearshoring coinvolge entrambi i tipi di regioni, emergono molteplici possibili esiti per la crescita regionale, con implicazioni non semplici da interpretare per le disuguaglianze regionali.
I risultati delineano un quadro ricco e articolato. Come ampiamente prevedibile, tutte le regioni che ospitano processi di nearshoring registrano un significativo vantaggio in termini di crescita, stimato in un incremento di 0,5 punti percentuali di PIL in più in cinque anni rispetto alle regioni che non ne beneficiano. Tuttavia, le implicazioni sulle disparità territoriali sono eterogenee e dipendono dalle logiche economiche dietro la ristrutturazione del trade. Quando il nearshoring avviene in aree a basso costo del lavoro, le aree svantaggiate ne traggono i principali benefici, riducendo le disuguaglianze sia tra paesi che all’interno di essi. Al contrario, se il nearshoring si concentra in aree caratterizzate da alta qualità dei processi produttivi come nel caso del Made-in, questo processo favorisce principalmente le regioni già avanzate, aumentando le disuguaglianze. Infine, quando il nearshoring avviene in regioni a forte automazione, le disuguaglianze tra paesi aumentano, ma all’interno dei paesi si osserva una riduzione, con un miglioramento nelle aree più svantaggiate. Un esempio emblematico di questo fenomeno è la Germania, dove il nearshoring si concentra nelle aree altamente automatizzate dell’Est, contribuendo così a ridurre lo storico divario di sviluppo con la Germania dell’Ovest.
In generale, sebbene il nearshoring da un lato favorisca la crescita e dall’altro amplifichi le disparità territoriali, questa analisi evidenzia la complessità del fenomeno e l’importanza di affrontarlo con cautela, tenendo conto delle specificità delle regioni coinvolte. In questo scenario, è cruciale sottolineare che, nonostante le numerose opportunità offerte dal nearshoring, il fenomeno rimane ancora limitato. Aree strategiche, dove ci si aspetterebbe un forte impatto, come il Sud Italia, la Spagna meridionale e la Grecia[4], non riescono a cogliere queste opportunità, rischiando di restare intrappolate nella middle income trap, schiacciate tra le aree che attraggono il nearshoring e la difficoltà di competere efficacemente con le regioni più avanzate.
[1] Si veda, ad esempio, Miró, J. (2023). Responding to the global disorder: the EU’s quest for open strategic autonomy. Global Society, 37(3), 315–335.
[2] Si veda, ad esempio, Capello, R., Afonso, D. L., e Perucca, G. (2025). The double dark side of regional back-shoring. Global Challenges & Regional Science, 1, 100001.
[3] Thissen, M., Lankhuizen, M., van Oort, F., Los, B., & Diodato, D. (2018). EUREGIO: The construction of a global IO DATABASE with regional detail for Europe for 2000-2010 (18-084/VI; Tinbergen Discussion Paper).
[4] Si veda, ad esempio, Baldwin, R., e Lopez-Gonzalez, J. (2015). Supply-chain Trade: A Portrait of Global Patterns and Several Testable Hypotheses. The World Economy, 38(11), 1682–1721.