9 Dicembre, 2023

Emilia-Romagna, terra dei distretti 4.0

Tempo di lettura: 4 minuti

L’Emilia-Romagna è la regione italiana che, assieme alla Lombardia, ha meglio reagito al cambiamento di scenario imposto dall’economia della conoscenza, rimanendo un territorio competitivo anche in assenza di grandi concentrazioni metropolitane. Tra 2014 e 2019 il valore aggiunto regionale è cresciuto del 7.5%, il numero di occupati ha superato i 2 milioni, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 4.8%, il valore più basso in Italia dopo il Trentino-Alto Adige. Anche l’andamento dei valori immobiliari di Bologna, gli unici a tenere testa a Milano negli ultimi cinque anni, conferma la capacità attrattiva di quest’area.

Alla base del nuovo impulso economico dell’Emilia-Romagna vanno in particolare segnalati tre aspetti: 1) la messa a punto di una governance partecipata e aperta ai diversi soggetti pubblici operanti nel territorio regionale; 2) l’attivazione di ingenti investimenti nell’ambito della scienza e della tecnologia, anche attraverso l’impiego efficace di fondi europei; 3) la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, con il diretto coinvolgimento delle imprese leader della regione.

Ciò che colpisce maggiormente è la capacità di questo territorio di far leva sulle proprie competenze specifiche per avviare percorsi di crescita innovativa e sostenibile. I distretti produttivi presenti in questa regione hanno superato il modello di produzione integrata su scala locale per diventare cluster di innovazione di classe mondiale. Questo upgrading non è avvenuto seguendo la logica ben conosciuta nel capitalismo anglosassone, ovvero tramite la sostituzione di attività manifatturiere con attività terziarie, bensì integrando produzione e servizi attraverso l’evoluzione dei modelli di business, come nel caso delle strategie di servitization. In altre parole, le filiere tradizionali dell’Emilia-Romagna hanno saputo riposizionarsi nelle catene globali del valore, andando ad occupare funzioni economiche a maggior valore aggiunto come il design, la ricerca e sviluppo, la progettazione e la distribuzione. Senza tuttavia perdere il contatto con le operations manifatturiere, che a loro volta si sono riqualificate in termini di sviluppo tecnologico e organizzativo.

All’interno di questa traiettoria evolutiva, un ruolo fondamentale è svolto dalle imprese leader delle filiere attive sul territorio: multinazionali regionali di fama internazionale operanti nel settore del packaging (Coesia), della meccanica (Bonfiglioli), dell’automotive (Ferrari), del wellness (Technogym) e dell’ingegneria edile (Focchi). È stato proprio attorno ad un nucleo forte di imprese leader regionali che si sono sviluppati i processi di upgrading territoriale, i quali richiedevano nuove competenze tecnico-scientifiche, investimenti in tecnologie digitali e strategie per la sostenibilità ambientale. 

Al centro dello sviluppo industriale regionale vi sono dunque alcuni elementi cardine: la presenza di imprese leader che operano come knowledge integrator (Buciuni e Pisano, 2018), mettendo a sistema con il territorio una serie di conoscenze e tecnologie reperite in ambito globale attraverso il presidio diretto del mercato; la capacità di tali imprese di aprirsi a collaborazioni con scuole tecniche e università per la formazione di personale aderente alle nuove esigenze delle imprese; un sistema finanziario regionale alimentato da investimenti pubblici e privati capace di fornire “capitali pazienti” all’industria. L’assenza di gravi crisi bancarie, come quelle delle banche popolari in Veneto, ha potuto garantire la continuità nella gestione economico-finanziaria delle imprese in un momento di cambiamenti strutturali, fornendo, grazie al radicamento al territorio, risorse orientate non solo alle singole aziende, ma anche a generare esternalità positive lungo le filiere locali. 

Inoltre, un contributo importante nell’iniezione di nuove competenze e tecnologie industriali è arrivato dalla crescente presenza di gruppi multinazionali esteri. Un caso da manuale è stato il settore automotive, che vede nella Motor Valley il suo epicentro produttivo e innovativo. Negli ultimi quindici anni si è assistito a una serie di investimenti strategici provenienti da oltre frontiera: dopo la famosa acquisizione di Ducati da parte di Lamborghini, a sua volta controllata dal gruppo Audi-Volkswagen, negli ultimi anni gli investimenti stranieri si sono spostati verso il settore dell’auto elettrica, contribuendo ad avviare quel cambiamento strutturale dal quale l’Italia rischia altrimenti di rimanere esclusa. Oltre a garantire occupazione a livello territoriale, la decisione delle joint venture internazionali di investire sul territorio ha abilitato un processo vitale di trasferimento tecnologico, facilitando in questo senso il continuo upgrading di un’industria che rimane strategica per le economie avanzate. 

Tuttavia, investimenti diretti esteri e partecipazione a complesse catene di fornitura globali non esauriscono le ragioni del successo industriale di questa regione. Una fondamentale leva di innovazione è stata fornita anche dal sistema educativo tecnico e dalle università. L’aggiornamento continuo delle conoscenze e delle competenze industriali è infatti arrivato dalla costituzione di MUNER (Motor-vehicle University of Emilia-Romagna), embrione di un Politecnico regionale dedicato al settore automotive. MUNER nasce nel 2017 attraverso la partnership con i principali atenei regionali e con imprese private quali Lamborghini, Ferrari, Ducati e Dallara, offrendo oggi due corsi di laurea in Advanced Automotive Engineering e Advanced Automotive Electronic Engineering, testimoniando l’investimento strategico dell’intero comparto industriale negli ambiti dell’industria 4.0 e del trasporto elettrico. Come avvenuto negli ecosistemi di Galway e del Research Triangle Park, anche in Emilia-Romagna l’upgrading dell’economia locale sembra seguire un modello ben definito, composto da imprese multinazionali straniere e internazionali e collaborazione tra imprese e università locali a supporto della formazione di personale qualificato e dello sviluppo di ricerca applicata. 

Ulteriori approfondimenti

Buciuni G., Corò G. (2023). Periferie competitive. Lo sviluppo dei territori nell’economia della conoscenza. Bologna. Il Mulino.

Giulio Buciuni & Gary Pisano, 2018. “Knowledge integrators and the survival of manufacturing clusters,” Journal of Economic Geography, Oxford University Press, vol. 18(5), pages 1069-1089.

Articoli correlati

Se i giovani diventano protagonisti della rigenerazione dei territori

Due progetti avviati da Fondazione Riusiamo l’Italia in Basilicata nel 2022 per sperimentare nei territori rurali del Mezzogiorno metodi e approcci sul riuso creativo, temporaneo e partecipato. Il primo progetto denominato “Mappa delle opportunità ritrovate” è attuato per conto del GAL Cittadella del Sapere consiste in un processo di mappatura del patrimonio dismesso o sottoutilizzato. Il secondo progetto intitolato “Next Generation - Sant’Arcangelo Hub Giovani” ha lo scopo di valorizzare il talento e le competenze di giovani che possano supportare progetti di innovazione in campo sociale, culturale, ambientale e turistico. Le due esperienze definiscono un approccio ad alta vocazione generativa che richiede limitate risorse di adattamento sulle “cose” e maggiori investimenti sulle persone e sulle comunità, sul loro empowerment e sulla propensione a costruire nuovi modelli di sviluppo durevole e sostenibile.

Il progetto NEO a Gagliano Aterno

I piccoli paesi appenninici ribollono di complessità e divengono luoghi fertili per territorializzare alternative culturali e socioeconomiche in tempi di transizione ecologica ed energetica. La dimensione di scala, i vuoti relativi e la posizione decentrata rispetto ai grandi centri antropizzati facilitano tali ambizioni. Attraverso la formazione di operatori di comunità, facilitatori territoriali e neo-popolamento si sperimentano trasformazioni ideologiche e materiali in spazi fragili e marginalizzati sul campo attraverso diversi progetti.

Xfarm agricoltura prossima a San Vito dei Normanni

A San Vito dei Normanni, stiamo trasformando 50 ettari di terre confiscate alla criminalità organizzata in un’azienda agricola, ecologica e sociale capace di generare lavoro, benessere per la comunità e miglioramento dell’ecosistema. Rigeneriamo il suolo, promuoviamo economia circolare, aumentiamo la biodiversità, offriamo prodotti agricoli di qualità, favoriamo inserimenti socio-lavorativi, organizziamo eventi comunitari, sosteniamo la formazione tecnica e la ricerca scientifica, accompagniamo progetti agricoli promossi da giovani del nostro territorio. In tanti e tante, stiamo costruendo un originale hub rurale che vuole contribuire allo sviluppo locale dell’Alto Salento.

L’Hub culturale di CasermArcheologica a Sansepolcro

CasermArcheologica oggi, a distanza di quasi dieci anni è uno dei punti di riferimento per il proprio territorio. E' un centro culturale inclusivo che propone residenze e mostre durante tutto l'anno accompagnate da dialoghi e attività laboratoriali grazie alle quali i linguaggi artistici diventano strumenti espressivi, di scoperta del sè, di orientamento, di socializzazione e capacitazione.

Diverse prospettive di “giustizia spaziale”

Per “territorializzare” certe idee di “giustizia”, serve capire quali problemi debbano essere oggetto della giustizia legale (chi ha fatto cosa), e quali siano anche oggetto di giustizia sociale (chi può/deve fare cosa) e spaziale (cosa fare dove). In questo numero affrontiamo cosa voglia dire accogliere la sfida della “giustizia spaziale” da diverse prospettive, utili a stimolare e intervenire più efficacemente su alcuni problemi che affliggono diversi contesti urbani contemporanei.