27 Luglio, 2024

Bonus edilizi e patrimonio immobiliare in crisi. Un incontro difficile, da 25 anni

Tempo di lettura: 7 minuti

Da quasi 25 anni esistono politiche di incentivo fiscale dedicate alla riqualificazione dell’ingente patrimonio residenziale privato che caratterizza il nostro paese (la detrazione fiscale per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449). Questo notevole impegno economico – 200,5 miliardi, nel complesso, di importi detraibili fiscalmente – si è sviluppato assumendo come obbiettivi più o meno espliciti o prevalenti la lotta al lavoro nero dilagante in edilizia, la promozione della produttività nazionale (agendo ancora una volta sul settore delle costruzioni come volano dell’economia), il perseguimento degli obiettivi energetici europei e, infine, la sicurezza degli immobili in caso di sisma.

I risultati sono positivi se valutati in termini di bilancio economico e ambientale complessivo, ma problematici e addirittura controproducenti se analizzati nel merito degli interventi indotti e soprattutto rispetto alle ripercussioni sulla specificità dei territori. Da un lato, infatti, sono emerse perplessità rispetto all’efficacia reale delle misure adottate per la scarsa presenza di interventi di “deep renovation”, sull’intero sistema edificio-impianto a fronte di una prevalenza di sostituzioni di serramenti e caldaie a macchia di leopardo (Corte dei conti Europea, 2020; Enea, 2020).

Dall’altro lato, si è trattato di incentivi “a pioggia”, indifferenti ai contesti territoriali del paese e alle condizioni socioeconomiche che li caratterizzano, che hanno stimolato i maggiori investimenti in quelle città e in quelle regioni ove il mercato immobiliare era più forte e in grado di riconoscere l’investimento – incrementando dunque il valore nelle aree dove già erano presenti ricchezza e capacità imprenditoriale – col rischio di accrescere le disparità territoriali e lo spreco di denaro pubblico (Camera dei Deputati, 2019; Magnani, Carrosio e Osti, 2020).

Figura 1. Appartamento in condominio, Milano, anni Cinquanta (archivio del Comune di Milano)

Si tratta di limiti che il recente “Superbonus 110%” si è proposto almeno in parte di superare, individuando misure tese a supplire alla carenza finanziaria di base che ha spesso costituito un limite all’utilizzo dei bonus edilizi, ma sollevando al contempo forti dubbi circa l’efficacia ambientale nel commisurare la spesa pubblica alla dimensione del comparto interessato – 11,6 miliardi di euro sullo 0,42% della superficie complessiva degli esistenti edifici residenziali (Camera dei Deputati, 2021) – e all’ancora limitato impatto sui condomini rispetto alle case unifamiliari (Enea, 2021); la trasparenza delle operazioni finanziarie implicate dagli interventi; l’immutata distribuzione generalizzata. Si continua infatti a operare ancora in modo tradizionalmente settoriale, senza tener conto delle esigenze dei territori nei quali gli immobili sono ubicati, del valore che questi incorporano e dell’uso che se ne potrebbe fare in futuro, a valle dell’intervento di trasformazione incentivato.

Il vasto patrimonio residenziale italiano (32 milioni di abitazioni) è estremamente eterogeneo sia per caratteristiche del manufatto (epoca di costruzione, stato di conservazione, tipologia), sia per caratteristiche di localizzazione (intese in senso ampio, includendo il mercato immobiliare e i bisogni emergenti da un dato contesto territoriale): una politica edilizia volta al suo ammodernamento non dovrebbe prescindere da queste caratteristiche, in particolar modo con riferimento a quelle situazioni territoriali con patrimoni “senza valore” a cui fa riferimento Simone Rusci nella sua introduzione, per le quali è urgente mettere a punto linee d’azione dedicate.

Una auspicabile innovazione dei bonus edilizi in questo senso, a nostro avviso, dovrebbe far propri aspetti di perequazione, di redistribuzione e di equità territoriale non tanto diversificando gli incentivi in funzione della situazione economica del proprietario o del valore dell’immobile – lasciando che siano altre misure fiscali, anche relative al patrimonio edilizio, ad agire su tali aspetti – ma superando la settorialità fino ad ora mantenuta dalle misure di incentivazione e focalizzandosi sul potenziale uso futuro dell’immobile, interpretandolo non più solo come bene del proprietario, ma come una “presa edilizia” da cui sviluppare politiche economiche, sociali, di sicurezza e di riqualificazione dei paesaggi. Una differenziazione dei bonus non dovrebbe più (solo) riferirsi a “quale tipo di trasformazione”, ma dovrebbe più esplicitamente riferirsi ad aspetti quali il “per chi”, “per quale utilizzo futuro”, “per quale pubblico interesse”. In altre parole, un intervento sul patrimonio edilizio privato dovrebbe essere incentivato non tanto (o non solo) per i suoi effetti diretti sul manufatto, quanto per la capacità di mobilitare iniziativa e risorse private verso più espliciti obiettivi di natura pubblica e collettiva che, di volta in volta, emergono dai territori nei quali è localizzato il patrimonio in questione.

In questa prospettiva, come altrove abbiamo provato ad argomentare (Zanfi, Daglio, Perrone e Rusci, 2021), si possono individuare almeno tre grandi linee di innovazione entro i quali i bonus edilizi potrebbero essere “territorializzati” e condizionati.

Una prima linea dovrebbe sostenere un più esteso “uso sociale” del patrimonio privato nei mercati urbani più dinamici e contraddistinti da tensione abitativa, e condizionare l’incentivo alla re-immissione di un immobile ammodernato (o di parte di esso) nel mercato dell’affitto a canone calmierato per un certo periodo di tempo, contribuendo a temperare il mercato.

Un secondo e un terzo ambito dovrebbero invece riguardare più precisamente i territori “senza valore” di cui ci occupiamo in questa sede, e prevedere bonus edilizi collegati a progetti di riabitazione mirata, di contrasto allo spopolamento o al contrario ad azioni di alleggerimento insediativo. Da un lato, per esempio, gli incentivi (o persino più robuste sovvenzioni) potrebbero riguardare l’adeguamento tipologico e tecnologico di manufatti edilizi strumentali all’avvio di progetti imprenditoriali che prevedano anche la residenza dell’imprenditore o dell’imprenditrice, tesi a valorizzare le risorse locali di un dato contesto e rivolti a una popolazione giovane.

Dall’altro, al contrario, in tutte quelle situazioni nelle quali non è opportuno riabitare (per criticità legate a rischi ambientali – dalle coste in erosione alle aree sismiche –, fattori di inquinamento o conflitti con politiche di tutela del paesaggio), gli incentivi dovrebbero accompagnare l’abbandono dei beni edilizi più problematici e, contestualmente, azioni di completa rimozione dei manufatti e di rinaturalizzazione dei siti.

Una ampia gamma di esperienze sviluppate dalle Agenzie casa di diversi comuni, a politiche regionali o nazionali (quali Snai, “resto al Sud”, Sprar/Siproimi, “Bando Montagna” dell’Emilia-Romagna) che puntano alla specificità dei contesti rappresentano buone pratiche concrete e fattibili. Si tratta tuttavia di misure che richiedono una visione e uno sforzo di programmazione ben diverso rispetto alle politiche miopi di incentivo, di anno in anno rinnovate, mirate ad un facile risultato immediato sul bilancio nazionale. Quest’ultimo enorme finanziamento giustificato dall’urgenza del “rilancio” rischia di non innescare processi virtuosi a lungo termine, agendo da sempre su un settore quello delle costruzioni che soffre da decenni di una crisi strutturale, anche per questo tipo di politiche.

Riferimenti bibliografici

  • Camera dei Deputati, 2019, Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione, n. 32/1, rapporto online
  • Camera dei Deputati, 2021, Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione, n. 32/3, 2° edizione
  • Corte dei conti europea, 2020, Efficienza energetica degli edifici: permane la necessità di una maggiore attenzione al rapporto costi-benefici, Relazione speciale 11/2020, rapporto online
  • ENEA (2020), Le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia negli edifici esistenti. Rapporto Annuale 2019, rapporto online
  • ENEA (2021), Le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia negli edifici esistenti. Rapporto Annuale 2021, rapporto online
  • N. Magnani, G. Carrosio e G. Osti (2020), Energy retrofitting of urban buildings: a socio-spatial analysis of three mid-sized Italian cities, «Energy policy», 139, pp. 1-9
  • F. Zanfi, L. Daglio, A. Perrone e S. Rusci, 2021, Bonus edilizi: diversificazione e integrazione con politiche urbane e territoriali, in A. Coppola, M. Del Fabbro, A. Lanzani, G. Pessina e F. Zanfi (a cura di), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Bologna, Il Mulino, pp. 149-162


Articoli correlati

Ancora sull’autonomia differenziata. La nuova normativa e la legge 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale.

Il nuovo numero di DiTe riapre il dibattito sull'autonomia differenziata, dopo l'approvazione del disegno di legge 615. DiTe aveva già affrontato il tema nel numero del 5 marzo, ma ritorna sulla questione per evidenziare l'importanza del progetto riformatore e i suoi effetti potenziali. Il confronto tra la legge Calderoli del 2009 e la nuova normativa mostra tre punti chiave trascurati: autonomia tributaria, superamento della spesa storica e capacità fiscale regionale. La nuova legge, basata sulla compartecipazione ai tributi, è criticata per la mancanza di coerenza e per ignorare la necessità di perequazione e rafforzamento dell'autonomia tributaria.

Il regionalismo conflittuale del secolo scorso di fronte alle nuove sfide

Il regionalismo conflittuale del secolo scorso si trova oggi di fronte a sfide globali e tecnologiche che ne evidenziano l’inadeguatezza. Le previsioni degli anni '90 sulla fine degli stati nazionali e sull'emergere di un'Europa delle Regioni si sono rivelate illusorie, incapaci di rispondere alle nuove dinamiche imposte dalla globalizzazione, dal reshoring delle imprese e dalla crescente interconnessione tecnologica. Oggi, la riforma del titolo V della Costituzione e la spinta autonomistica mostrano i limiti di una politica incapace di adattarsi a tali cambiamenti, aumentando la confusione nei rapporti fra lo Stato e le Regioni e intensificando i conflitti tra forze politiche e territori.

L’autonomia regionale differenziata è una secessione dei ricchi

L’autonomia differenziata configura una autentica “secessione dei ricchi” perché amplifica enormemente i poteri delle Regioni, pregiudicando disegno e attuazione delle politiche pubbliche nazionali e ampliando le disuguaglianze territoriali. Il trasferimento delle risorse alle Regioni è definito da commissioni stato-regione privando il Parlamento delle proprie potestà.

Storia e Cronistoria del DdL Calderoli

Il disegno di legge Calderoli all’esame del Parlamento stabilisce, tra l’altro, che l’attuazione dell’autonomia per tutte le funzioni che prevedono il rispetto dei LEP non possono essere oggetto di intesa se non dopo la loro definizione e ciò, di fatto, “costituzionalizza” gli squilibri distributivi nella ripartizione della spesa tra le regioni, penalizzando in particolare quelle meridionali.

L’equivoco dei residui fiscali tra spesa storica e suggestioni autonomistiche

I residui fiscali, lungi dall’essere “impropri e parassitari” non sono altro che la conseguenza della necessità di garantire l’attuazione del principio di equità: dai dati si evince che tale principio, complice il meccanismo del criterio della spesa storica, è lungi dall’essere rispettato.