27 Luglio, 2024

Rileggere il pensiero “irregolare” per comprendere le politiche e la pedagogia urbana del futuro

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Il volume “Gli Irregolari” di Gabriele Pasqui è il libro che molti dei laureati in pianificazione territoriale (come me) amano leggere per un motivo molto importante: la convinzione di essere parte di un’evoluzione della planning education (& competency, ndr) sempre più lontana da una visione “prescrittiva”, “progettuale” e “regolatoria” nella gestione dello sviluppo urbano e territoriale. Una professione (e un approccio di ricerca) che hanno in seno il potenziale di risignificare la politica e l’azione pubblica, che Pasqui, nella tesi sposata dal libro, vede come necessariamente legata alle intuizioni pedagogiche che tre “giganti” del 900’ ci hanno lasciato: Ivan Ilich, Albert Hirschman e Charles Lindblom. Intuizioni in grado di ri-orientare la prospettiva strategica delle agende territoriali, superando le convinzioni di neutralità tecnica che l’urbanistica così come la programmazione economica “place-blind” ha per troppo tempo ignorato, generando società e territori sempre più divisi, divisivi e disuguali. Una sfida ancor più rilevante se consideriamo l’epoca di cronica crisi che stiamo vivendo (ad oggi ne possiamo contare 7: pandemica, climatica, economica, geopolitica, energetica, istituzionale e politica) e le implicazioni in termini di innovazione della governance territoriale che queste hanno (una su tutte, le comunità energetiche).

È in questo contesto che Pasqui, interpretando un sentire comune, avverte l’esigenza di ricalcare, quasi come fondamentale passaggio testamentale per l’educazione dei “pianificatori strategici” del presente e del futuro, le “visioni irregolari” in grado di riaffermare la scienza del Muddling Through (Lindblom). Ossia quella che gli studiosi di planning theory definiscono come scienza del navigare nei “mari agitati della conoscenza” dei fenomeni politici e sociali in grado di risolvere problemi maligni (wicked problems) che città, territori e società vivono senza soluzione di continuità. Sostenendo la necessità di lavorare al confronto politico di una pluralità di interessi divergenti così come ad una corretta comunicazione plurale delle conoscenze nella e per l’azione.

Pasqui compie la necessaria operazione di comparare queste visioni nel contesto attuale del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, dove la pianificazione è al centro di una nuova spinta dell’azione pubblica per rinnovare e rilanciare i territori del nostro paese, perseguendo obiettivi di trasformazione economica, sociale e ambientale. Questa sfida è resa ancora più difficile dalla complessa ricerca di equilibrio tra interessi contrapposti in una corsa contro il tempo e le difficoltà organizzative connaturate alle pubbliche amministrazioni.

Nel primo capitolo, Pasqui espone una serie di critiche riguardo ai modesti risultati di innovazione che sono emersi nell’agenda setting del PNRR: la mancanza di capacità di proporre modelli alternativi di sviluppo in grado di superare i divari territoriali (come sottolineato da Viesti), e la scarsa accettazione delle proposte di modelli di governance dell’emergenza e dell’eccezione (come descritto da Perulli), considerate come un effetto collaterale dell’indebolimento delle istituzioni dovuto all’egemonizzazione del new public management. Al di là di queste riflessioni, non particolarmente nuove al dibattito contemporaneo, il capitolo si conclude con una riflessione che apre la strada alla rilettura delle “visioni irregolari”, ovvero alla necessità di ricostruire una dimensione propriamente “politica” dell’azione pubblica in grado di superare i limiti derivanti da decenni di indebolimento del pensiero pensante a favore del pensiero calcolante.

Nella lettura di Pasqui la stagione che stiamo vivendo offre enormi opportunità di sviluppo tecnologico, ma al contempo ha trascurato una dimensione collettiva della prospettiva di sviluppo umano. Illudendoci sulla neutralità e sull’infallibilità dello stesso nel fronteggiare l’incertezza e i problemi, come i catastrofici effetti nella gestione della pandemia che abbiamo vissuto hanno dimostrato. Tali convinzioni hanno dunque prodotto risultati deleteri e pericolosi, portandoci a considerare sempre più importanti le visioni degli irregolari per affrontare le sfide del futuro.

Dal secondo capitolo in poi finalmente la rilettura degli irregolari prende forma: di Ivan Ilich (che l’autore non ama ma conosce profondamente) la prima intuizione nell’aver rivendicato la natura limitante del sapere tecnico mono disciplinare a favore della transdisciplinarietà che sfocia nella logica del saper fare. Ossia orientata alla comprensione delle “specifiche prese, materiali e immateriali, delle azioni di pianificazione e programmazione in relazione alle concrete pratiche sociali”.

Il capitolo continua sottolineando l’antagonismo di Ilich alla visione ordinaria (prometeica) della pianificazione e della programmazione, non in senso libertario ma in senso profondamente antropologico, a favore di una nuova prospettiva che rifiuta il controllo e apre a una dimensione epimeteica dell’agire. Elaborata tramite i concetti della controproduttività, di descolarizzazione della società verso la necessità di sostenere la sperimentazione istituzionale volta a destrutturare l’ordine kafkiano delle pubbliche amministrazioni, del controllo delle performance e dell’ordine sfrenato tipico dell’organizzazione welfarista. Tra “pratiche di insegnamento e di formazione e costruzione di riflessioni teoriche, tra vita e azione, in una continuità fluida tra prassi cognitive e sperimentazioni operative”.

Il terzo capitolo è dedicato ad Albert Hirschman incentrata sul fondamentale passaggio dell’imparare a pensare contro se stessi. Concetto che Pasqui lega anche alla dimensione esistenziale del vissuto sia di Hirschman che di Lindblom, secondo una coerenza che ci riporta alla dimensione del concetto di Vita Activa di Harendt e che sottolinea un aspetto fondamentale di deontologia professionale troppo spesso proclamato e allo stesso tempo ignorato dalle istituzioni accademiche: l’importanza di sostenere il pensiero divergente e anticonformista rispetto alle “declaratorie disciplinari”.

Molto interessante in questo capitolo il richiamo al lavoro di Balducci nel collegare il pensiero di Hirschman alla pratica professionale del pianificatore, nel contributo all’ “incoraggiare i progettisti a trasgredire, nel costruire un atteggiamento critico, maturo e consapevole, fiduciosi nella loro capacità di affrontare qualunque problema e difficoltà possa sorgere, usando l’incertezza come bussola e la speranza come guida, mobilitando risorse nascoste, imparando dai fallimenti, prestando attenzione agli effetti inattesi e usando l’intelligenza della società”.

Il quarto capitolo è dedicato a Charles Lindblom, il “regolare tra gli irregolari”, padre nobile della Planning Theory e della visione incrementale al policy design. In questa visione Pasqui si sofferma in modo particolare sul concetto di probing, ossia il processo sociale (interattivo e ampio) di identificazione dei problemi sociali nella sua natura cognitiva e politica. Sottolineando la distanza con il concetto di enquiry, figlio di una visione neo-positivista e spostando l’attenzione sulle “modalità di messa alla prova che riconoscono un problema”.

Molto rilevante e interessante il passaggio sulla self-guiding society riconosciuta come determinata da un’intensità intenzionale e relazionale volta al riconoscimento di problematiche comuni e ad un’azione coordinata e collettiva per risolverli. Una visione di agire per conoscere che in Italia ha avuto le sue radici teoriche nel pensiero di Pierluigi Crosta, a sua volta influenzato dal pensiero dell’epistemologo americano Donald Schön. Tra i concetti di maggior rilevanza evidenziati dall’autore nella rilettura di Lindblom, spicca quello del mutuo aggiustamento, inteso non solo come strumento analitico per comprendere i processi decisionali, ma anche e soprattutto come un ideale normativo. Sottolineandone la principale ragione per cui il mutuo aggiustamento viene ampiamente utilizzato in una self-guiding society, ossia il suo ruolo insostituibile nel permettere, favorire e sostenere l’effetto dell’indagine plurale e multipla e nel ridurre gli ostacoli all’efficacia dell’azione pubblica.

Nell’ultimo, l’autore conclude ricordandoci le ipotesi con cui è partito nella disamina del pensiero degli irregolari, come esercizio pedagogico per riconoscere le sfide delle politiche urbane del futuro.

Ponendo di nuovo l’accento su due grandi sfide:

  • La necessità di sostenere approcci e metodologie diverse di pianificazione e programmazione, dove il pluralismo è inteso come presenza di “condizioni istituzionali di fattibilità della genesi di una varietà istituzionale adeguata o indispensabile per regimi di democrazia matura, di governance e di integrazione globale” (Donolo);
  • la necessità di sostenere approcci in grado di “ridare centralità al pubblico e all’azione pubblica, senza per questo rinunciare a valorizzare l’intelligenza della società e della democrazia e a irrobustire la qualità delle istituzioni”.

L’autore, tiene fede a queste ipotesi nelle conclusioni ripercorrendo in modo perito i concetti fondamentali con cui guardiamo alle politiche: la supremazia dei processi di apprendimento istituzionale e dei moventi intenzionali rispetto al disegno razionale dei progetti, passando dall’importanza delle interazioni sociali e dell’identificazione dei meccanismi di rafforzamento delle stesse come chiave per una pianificazione che conosce nel corso dell’azione. Temi, concetti e insegnamenti tanto irregolari e indisciplinati quanto preziosi che però ci pongono di fronte a una domanda importante: quanto questi insegnamenti sono ancora incorporati della formazione universitaria italiana nelle discipline pianificazione? Come valutiamo l’effort coordinato messo in atto da noi ricercatori ed accademici per preservare la legacy delle pedagogie irregolari nei programmi di formazione?

La risposta è aperta ma mi preme lasciare qui una perentoria riflessione: a Roma, dove il PNRR è stato redatto e dove la sua implementazione verrà finalizzata e poi controllata, nel 2023 non esistono corsi di laurea specializzati in pianificazione, governo e design delle politiche urbane scevri dalla neo-classica impostazione del progetto architettonico.

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