Anche nei paesi più avanzati, il numero delle persone che incontrano difficoltà nel garantire un’alimentazione adeguata a sé stessi e alle proprie famiglie è in crescita (su tutti FAO, 2024). Solo nel nostro paese, sono sei milioni le persone con almeno 16 anni che vivono in condizioni di povertà alimentare. Costoro sono impossibilitate a consumare un pasto completo almeno una volta ogni due giorni e non possono permettersi di mangiare o bere fuori casa almeno una volta al mese (ActionAid, 2023).
Questa condizione di povertà è determinata da carenze nelle infrastrutture alimentari, da disuguaglianze di reddito, oltre che da disoccupazione, dall’aumento generalizzato dei prezzi dei generi alimentari e da recessioni economiche (Pesenti & Rovati, 2015). La limitata disponibilità di prodotti sul mercato o infrastrutture di trasporto inadeguate ostacolano l’accesso al cibo di qualità e la sua distribuzione. Il basso reddito, l’occupazione informale e la disoccupazione dei suoi componenti sono condizioni che espongono le famiglie a livelli elevati di insicurezza alimentare. Anche il livello di istruzione gioca un ruolo significativo: un accesso limitato all’istruzione si correla a minori opportunità economiche e a una ridotta disponibilità di cibo. Talvolta le dinamiche di genere, come la presenza di donne capofamiglia, si intersecano con tale condizione di svantaggio. L’aumento dei prezzi alimentari colpisce in modo sproporzionato le famiglie a basso reddito, costringendole a optare per diete meno nutrienti e di qualità. Inoltre, instabilità macroeconomiche, come l’inflazione o le recessioni, amplificano le vulnerabilità strutturali del sistema alimentare.
A sua volta, la povertà alimentare aggrava le disuguaglianze sociali e contribuisce all’ingiustizia tra la popolazione. Affligge in modo particolarmente severo i gruppi sociali più vulnerabili e le comunità situate in aree remote o caratterizzate da scarsità di punti vendita alimentari (food deserts).
Molte politiche pubbliche appaiono inique e poco efficaci perché non affrontano adeguatamente le cause strutturali dell’insicurezza alimentare. Parimenti non risolvono le discriminazioni storiche nei confronti di minoranze razziali ed etniche o perpetuano le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e nell’accesso alle risorse.
Molti governi locali hanno quindi deciso di adottare misure diverse per contrastare più efficacemente questa povertà, quali la revisione delle politiche alimentari e l’introduzione di programmi di assistenza per sostenere economicamente individui e associazioni nell’acquisto di cibo.
Parallelamente, associazioni di volontariato e cittadini si sono mobilitati per creare iniziative di approvvigionamento alimentare su scala locale, considerate esempi di carità alimentare o food charity.
Le iniziative di questo tipo si basano generalmente su donazioni provenienti da supermercati, ristoranti e privati cittadini. Il cibo raccolto viene poi distribuito a chi vive in condizioni di insicurezza alimentare attraverso banche alimentari, mense comunali e programmi simili. Oltre a fornire aiuti immediati, queste iniziative cercano anche di affrontare le cause profonde dell’insicurezza alimentare, come la povertà e la difficoltà di accesso a cibo sano e a prezzi accessibili, attraverso attività di sensibilizzazione e formazione. In questo senso, rappresentano esempi significativi di innovazione sociale, in quanto coinvolgono attivamente la comunità nella riorganizzazione delle reti alimentari locali e nella ricerca di soluzioni sostenibili per migliorare l’approvvigionamento di cibo.
In origine, la food charity è stata spesso attivata da istituzioni religiose. Le mense per i poveri, le distribuzioni di cibo e le iniziative di sostegno alimentare sono state tradizionalmente organizzate da chiese, moschee, sinagoghe e altre comunità religiose. Queste istituzioni hanno utilizzato le loro reti per raccogliere donazioni di cibo e risorse, mobilitando volontari per aiutare i bisognosi. Con il passare del tempo, la food charity si è evoluta, dando spazio anche a organizzazioni non religiose e laiche, oltre a enti governativi e ONG, per affrontare l’insicurezza alimentare in modo più ampio e sistematico. Durante la pandemia di COVID-19, la food charity ha ricevuto una notevole spinta. La crisi sanitaria globale ha portato a un aumento significativo delle difficoltà economiche e della disoccupazione, costringendo molte persone a fare affidamento su aiuti alimentari. Molte organizzazioni di food charity hanno ampliato i loro servizi per rispondere alla crescente domanda, aumentando la distribuzione di cibo, implementando programmi di consegna a domicilio e creando nuove iniziative per raccogliere fondi e donazioni.
Nonostante la crescente importanza, vi è una carenza di studi che analizzano in dettaglio l’efficacia di queste iniziative e le caratteristiche delle persone coinvolte. Sebbene la carità alimentare svolga un ruolo cruciale nel fornire sostentamento a chi ne ha bisogno, essa presenta alcune criticità, tra cui la limitata disponibilità di risorse finanziarie, le difficoltà di accesso per i beneficiari, la limitata varietà e la qualità della dieta, gli sprechi alimentari e il rischio di creare dipendenza da questo tipo di assistenza. E’ in atto poi un dibattito su quanto queste iniziative siano soluzioni strutturali o se, invece, rischino di normalizzare la dipendenza dalla carità invece di affrontare le cause profonde della povertà e della disuguaglianza.
La presente special session risolve in parte tale carenza.
Il contributo di Federica Scannavacca e di Ilenia Manetti evidenza la complessità dell’azione di contrasto alla povertà alimentare. Con particolare riferimento all’area metropolitana di Roma, le autrici evidenziano come tale condizione sia aumentata negli ultimi anni e sia presente in taluni quartieri dove il supporto è meno accessibile. Qui, il sistema di aiuti è basato principalmente sui pacchi alimentari ed è sostenuto dal volontariato. Insufficiente a contrastare interamente la povertà alimentare, le autrici richiamano la necessità di una maggiore iniziativa istituzionale, con politiche che favoriscano l’equità alimentare e l’inclusività, attraverso filiere corte, educazione alimentare e potenziamento della rete di assistenza. Per loro, pur avendo una importanza strategica, la rete solidale su base volontaria da sola non riesce ad affrontare il problema e debba essere inserita all’interno di un sistema di aiuti che trovi nelle istituzioni locali il principale interlocutore ed attivatore del cambiamento dell’attuale sistema di aiuti.
Si innesta bene in tal senso anche il contributo di Laura Prota, Francesca Curcio, Francesca B. Felici, Davide Marino perché ne rafforza le conclusioni. Gli autori mostrano una geografia molto iniqua dell’aiuto. Grazie al clustering delle organizzazioni solidali territoriali in base alla loro distanza geografica, mostrano una loro concentrazione significativa nel centro di Roma, dove la densità di beneficiari è relativamente bassa. Al contrario, nelle periferie, dove la necessità di aiuti è maggiore, le organizzazioni sono distribuite in modo più disperso. Questo potrebbe indicare un disallineamento tra la distribuzione degli aiuti e le reali necessità delle aree più vulnerabili oltre a rendere più pressante la necessità di un miglior coordinamento tra le istituzioni coinvolte.
Guardando all’impegno delle Caritas diocesane dell’Emilia-Romagna durante la pandemia, Andrea Gollini evidenzia come la necessità di garantire la continuità del supporto alimentare nonostante le difficoltà operative abbia stimolato una maggiore collaborazione tra istituzioni, aziende e associazioni, rafforzato le reti esistenti e promosso nuove sinergie. Questi cambiamenti non solo hanno garantito una risposta immediata alle esigenze emergenti, ma hanno anche accelerato un ripensamento strutturale dei servizi, orientandosi verso un approccio più resiliente e inclusivo su due direttrici, il lavoro di rete e la personalizzazione dell’aiuto. La prima direttrice si è concretizzata principalmente nella creazione di infrastrutture logistiche centralizzate, progettate per alleggerire i singoli centri parrocchiali dalla gestione quotidiana delle donazioni alimentari. Questa strategia ha permesso di liberare risorse e tempo per concentrarsi sull’ascolto e il supporto relazionale. La seconda direttrice si è focalizzata sulla qualità nutrizionale e sulla personalizzazione degli interventi andando ad offrire pasti che fossero rispondenti a criteri nutrizionali di qualità. Di fatto, le esperienze descritte da Gollini offrono spunti di riflessioni in linea con quelli evidenziati dal caso romano: l’essenzialità del coordinamento in rete e del lavoro di squadra, la pluralità degli attori, al di là di quelli istituzionali o clericali, la necessità di andare oltre l’emergenza e di “istituzionalizzare” l’aiuto. Le novità che introduce riguardano la personalizzazione dell’aiuto e l’attivismo del ricevente. Costui si vede aiutato con pacchi che meglio rispondono alle esigenze nutrizionali, ma è chiamato ad essere attore protagonista, oltre che del proprio cambiamento di condizione, anche della sostenibilità del sistema di aiuto. L’effetto moltiplicativo dell’aiuto è poi evidente sull’intera società: rafforza le relazioni comunitarie, promuove la coesione sociale e dignità per le persone in difficoltà.
Sempre in termini di personalizzazione dell’aiuto, Donatella Privitera, Irene Selvaggio, Carla Zarbà, Alessandro Scuderi nel loro contributo vanno ad esaminare la povertà alimentare carceraria e l’agricoltura sociale sperimentata in alcuni istituti di detenzione. La detenzione e il sistema carcerario compromettono il potenziale economico a lungo termine degli individui, contribuendo a cicli persistenti di insicurezza economica e alimentare. Il progetto descritto dagli autori sviluppa competenze agricole per il reinserimento sociale, focalizzandosi sull’agricoltura rigenerativa per promuovere sostenibilità ambientale e socio-economica, migliorando suolo, biodiversità e policolture. Rivolto principalmente a detenuti in lavoro esterno, si svolge su tre appezzamenti: due per ortaggi e uno per un arboreto. L’attività mira a migliorare l’autostima dei partecipanti attraverso il successo nella cura delle piante. “L’orto umoristico” combina agricoltura e comicoterapia, promuovendo competenze pratiche e benessere emotivo. Il progetto coinvolge anche le comunità esterne, sensibilizzando su detenuti e superando stereotipi attraverso il dialogo e la solidarietà.
Approfondimenti
- ActionAid, (2023), Rapporto Povertà Alimentare in Italia, ActionAid Publishing, 2023.
- FAO, (2024), The State of Food Security and Nutrition in the World 2024, FAO Publishing, 2024.
- Pesenti, L., & Rovati, G. (2015). Food poverty, food bank. Aiuti alimentari e inclusione sociale. In Food poverty, food bank (pp. 3-29). Vita e Pensiero.