Negli ultimi anni, l’evoluzione normativa a livello europeo ha rafforzato la legittimazione degli Stati membri nel disciplinare il mercato digitale connesso all’operato delle piattaforme digitali, in particolare a seguito dell’integrazione della Direttiva 2000/31/CE (Direttiva e-commerce) con il Regolamento (UE) 2022/2065, noto come Digital Service Act (DSA). Il nuovo quadro normativo europeo ha sancito un equilibrio tra la tutela della libera circolazione dei servizi digitali e la necessità di garantire una regolamentazione efficace e trasparente delle piattaforme online, riconoscendo agli Stati un ruolo più attivo nel controllo delle attività digitali a differente scala.
In riferimento al mercato degli affitti brevi in Italia, l’evoluzione della normativa europea si è inserita in un contesto caratterizzato da un crescente attivismo regolatorio di livello municipale e regionale. Infatti, diverse amministrazioni avevano già evidenziato le criticità connesse alla mancanza di un quadro normativo nazionale finalizzato a disciplinare il mercato short-term rental, fenomeno che ha acquisito rilevanza soprattutto attraverso la diffusione su larga scala dell’offerta mediata da Airbnb. Le iniziative comunali erano principalmente volte a limitare la proliferazione degli affitti brevi a scopo turistico nel proprio territorio, con l’obiettivo di contenerne gli impatti sociali e territoriali negativi. Significativo è, in questo senso, il caso di Firenze, che ha introdotto misure particolarmente restrittive, tra cui il blocco per le nuove unità residenziali destinate a uso turistico nell’area UNESCO, rappresentando un esempio emblematico di intervento comunale volto a preservare l’identità e la vivibilità dei quartieri storici.
In risposta a queste sollecitazioni l’introduzione del decreto-legge 145/2023 ha sancito, come noto, l’obbligo di registrazione di tutte le unità ad uso turistico tramite il Codice Identificativo Nazionale (CIN), rivolto principalmente a contrastare le forme irregolari di ospitalità turistica. Tale provvedimento ha rappresentato il primo tentativo di coordinamento normativo del settore degli affitti brevi in Italia, in risposta a un mercato in continua evoluzione ed espansione. È in questo quadro che alcuni soggetti (per esempio, alcuni organi di stampa e associazioni di categoria, tra cui l’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi – AIGAB) hanno cominciato a lanciare l’allarme per una regolamentazione troppo stringente nei confronti dell’operato degli host, ritenendo che l’offerta di affitti brevi non fosse direttamente connessa a fenomeni quali, ad esempio, la mancanza di alloggi destinati all’affitto long-term, lo spopolamento dei centri storici ed i noti processi connessi all’overtourism. È davvero così?
Per formulare una risposta robusta e circostanziata a questo interrogativo è necessario lasciare passare un lasso temporale adeguato a verificare i reali effetti delle norme in questione. Nel frattempo, quello che si può fare è analizzare la traiettoria di sviluppo del mercato Airbnb negli ultimi anni, per comprenderne le linee di tendenza. Ciò è quanto fatto dal rapporto “Chi gestisce davvero il mercato Airbnb? Gli affitti brevi in Italia dal 2017 al 2024” realizzato da FULL – Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino, il quale fornisce una panoramica dettagliata dell’evoluzione del fenomeno a scala nazionale.
Nel corso del 2024 sulla piattaforma Airbnb sono state registrate oltre 754.000 unità attive, in aumento del 52% rispetto al 2017, quando queste risultavano “appena” 494.000. La distribuzione geografica delle unità è profondamente disomogenea: a essere caratterizzate da una presenza più marcata di annunci sono le aree turisticamente più attrattive. Tra queste vi sono le maggiori aree metropolitane, dove si concentrano poco meno di 180.000 annunci, vale a dire circa un quarto del totale. Nel 2024 primeggiano Roma con 47.000 unità, seguita da Milano (38.000) e Firenze (17.000). Queste città rappresentano i mercati più floridi in termini quantitativi, anche se la crescita percentuale più elevata ha interessato alcune città del sud Italia, tra cui Bari (+250%), Napoli (+98%) e Catania (+90%) (fig. 1).

La crescita di unità attive sui portali Airbnb si è tradotta in un aumento dei ricavi generati da questo mercato, passato da un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro nel 2017 a 8,8 miliardi nel 2024, con un aumento prossimo al 242%. A essere incrementati sono stati anche i ricavi medi per unità, giunti a 11.700 euro nel 2024 (con un aumento del 124%) rispetto ai 5.200 euro del 2017. I valori sono ancora più elevati se si osservano i ricavi dei singoli host, i cui guadagni pro-capite arrivano a superare i 25.000 euro (in media) nel 2024 (al 2017 il valore medio era di circa 10.000 euro). Tali dati sono particolarmente significativi, in quanto evidenziano come gli affitti brevi abbiano una redditività crescente, che in molti casi supera quella dell’affitto residenziale tradizionale, rischiando di aggravarne una condizione che, come noto, è caratterizzata da svariati problemi (per esempio, bassa disponibilità e conseguente crescita dei valori di affitto). Ciò è legato anche al fatto che, sempre più, l’offerta di Airbnb è composta non da singole stanze ma da interi appartamenti che nel 2024 rappresentano l’82% del totale, pari a 618.000 unità (nel 2017 le intere abitazioni presenti sulla piattaforma erano circa 366.000). Si consideri inoltre che, sebbene il numero medio di notti prenotate per singola unità sia aumentato, passando da 47 nel 2017 a 70 notti nel 2024, gli appartamenti presenti su Airbnb sono per la maggior parte dell’anno vuoti. Nonostante ciò, questi generano un reddito medio annuo pari a 11.600 euro per singola unità (fig. 2), valore complessivamente superiore a quello di un intero anno di locazione residenziale. Secondo i dati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate, nel 2023 il canone medio annuo era pari a 5.945 euro per i contratti di locazione ordinari per uso abitativo.

Un altro aspetto fondamentale per comprendere a fondo il fenomeno riguarda il grado di professionalizzazione di gestori e proprietari immobiliari (fig. 3). Nel 2024 gli host presenti sulla piattaforma erano circa 350.000. Nell’84% dei casi si trattava di piccoli proprietari, in possesso di una o due abitazioni. I large host (ossia soggetti che gestiscono più di dieci immobili) rappresentavano una quota minoritaria del totale, pari a poco più dell’1,3% (4.300). Il loro numero è però aumentato in modo considerevole negli ultimi otto anni (+77%). Inoltre, se l’analisi si sposta dal numero assoluto di host ad altre variabili, il peso dei grandi gestori/proprietari assume ancora più rilevanza: questa categoria controlla infatti il 25% dell’offerta totale di unità (185.000 unità), con una media di 42 immobili gestiti da ciascun host. I ricavi prodotti dalle unità affittate da large host è responsabile di un giro d’affari complessivo di 3,3 miliardi di euro, pari al 37% del totale dei ricavi generati complessivamente tramite la piattaforma. Ciò è il risultato di prestazioni degli appartamenti gestiti da large host superiori rispetto a quelli gestiti da small host: prezzo medio a notte di 235 euro, contro i 137 dei piccoli gestori; tasso medio di occupazione delle unità parti al 40%, contro il 29% per chi affitta una o due unità; ricavi medi complessivi per unità pari a 17.000 euro, contro gli 8.500 degli small host.

In sostanza, l’analisi a scala nazionale degli affitti turistici brevi nel periodo 2017-2014 racconta di un settore caratterizzato da un duplice movimento. In primis, una crescita piuttosto lineare (periodo pandemico a parte) delle principali variabili caratterizzanti il mercato Airbnb (per esempio, numero di unità attive, ricavi, prestazioni delle unità), che suggerisce come le iniziative di registrazione prese a livello nazionale potrebbero non avere impatti significativi sull’andamento del fenomeno. In secundis, una progressiva professionalizzazione, testimoniata dalla crescente rilevanza della categoria dei large host, in relazione ai quali sarebbe utile predisporre normative dedicate, simili a quelle in fase di studio in altri contesti europei.
In conclusione, per quanto concerne la regolamentazione del fenomeno, la letteratura accademica evidenzia chiaramente che i provvedimenti più efficaci sono quelli che combinano chiarezza normativa (in termini di obiettivi prefissati), strumenti di controllo realizzabili e una solida capacità di applicazione delle politiche (Gyódi et al., 2025). Le misure più simboliche, come quelle che limitano il numero di giorni di locazione – o come nel caso italiano, la mera registrazione delle attività finalizzata a combattere l’offerta irregolare – producono effetti modesti e talvolta temporanei. Risulta decisiva, oltre a quanto già affermato, una stretta collaborazione tra piattaforme digitali e autorità di controllo, favorita dalle nuove disposizioni del Digital Service Act, per garantire una governance efficace e trasparente del mercato mediato dalle piattaforme.
Approfondimenti
- Chiodelli F., and Beltramo M., (2025). Chi gestisce davvero il mercato Airbnb? Gli affitti brevi in Italia dal 2017 al 2024. Politecnico di Torino, FULL
- Bei, G. (2025). The spatial effect of short-term rental regulations: The comparison between Barcelona and Paris. Cities, 158, 105603. https://doi.org/10.1016/j.cities.2024.105603
- Gyódi, K., Mazur, J., & Cocola-Gant, A. (2025). Barcelona as a case study for the effectiveness of short-term rental market regulations. Cities, 162, 105915. https://doi.org/10.1016/j.cities.2025.105915