Negli ultimi anni, il mondo ha attraversato cambiamenti strutturali che sarebbero stati inimmaginabili solo cinque anni fa. La pandemia da COVID-19 ha trasformato le nostre esistenze quotidiane, cambiando radicalmente le abitudini individuali, i comportamenti economici, le attività sociali, costringendo consumatori e imprese a modificare drasticamente il modo in cui si svolgono le relazioni d’affari, si strutturano le attività economiche e si organizza il commercio.
In aggiunta a questi cambiamenti, le recenti tensioni geopolitiche, come la rivalità tra Stati Uniti e Cina, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’escalation del conflitto israelo-palestinese, hanno aumentato i rischi derivanti dal commercio internazionale, influenzandone la logica e la struttura. Un scenario di Nuova Normalità sta perciò emergendo, distaccandosi dalle dinamiche presenti prima dell’avvento della pandemia da COVID-19[1].
La nuova politica commerciale concepita dall’Unione europea (UE) rappresenta una reazione a questi eventi[2]. I documenti ufficiali dell’UE riflettono una prospettiva completamente nuova sul commercio internazionale rispetto al passato, fissando nuovi obiettivi e passando da anni di atteggiamenti aperti verso il commercio globale ad una crescente necessità di protezionismo strategico. In questa nuova visione, la politica commerciale dovrebbe passare dalla gestione delle interdipendenze alla gestione di una nuova dipendenza[3], portando l’Europa verso la creazione di un’economia più autosufficiente, evitando in particolare di dipendere dalle importazioni di beni strategici e materiali critici.
Preso in prestito dal gergo militare, il concetto di Autonomia Strategica Aperta (OSA, dall’acronimo inglese) è diventato centrale nella politica estera dell’Unione Europea a partire dal 2020. Per l’UE, il concetto di OSA comprende due elementi principali. Da un lato, sottolinea l’importanza di agire strategicamente sulla scena internazionale, giocando un ruolo attivo tra i partner commerciali e contribuendo a plasmare in modo deciso le sue relazioni commerciali. Dall’altro lato, richiede anche che l’UE promuova una relativa indipendenza dalle alleanze internazionali, garantendo così la capacità dell’Unione di agire come un attore globale autonomo.
La nuova politica commerciale, tuttavia, manca di una dimensione spaziale esplicita, sebbene sia legittimo assumere che tale politica sia tutt’altro che neutrale rispetto al territorio. Benché l’Unione europea sia consapevole di questo problema, nei suoi documenti ufficiali emergono spesso obiettivi regionali contrastanti. Infatti, mentre si afferma che la reindustrializzazione dovrebbe seguire esclusivamente criteri come le economie di scala e le capacità preesistenti dei territori, inevitabilmente a favore delle regioni più avanzate e industrializzate, l’UE sottolinea anche che elementi come uno sviluppo regionale equilibrato dovrebbero essere perseguiti, per garantire la convergenza economica, sociale e territoriale.
Si prevede che questa politica avrà impatti differenziati sulle regioni in termini di crescita del PIL e, quindi, di disparità regionali. Tuttavia, non è ancora noto né prevedibile quali territori beneficeranno maggiormente della nuova politica. All’interno del progetto Twin Seeds, un’analisi dell’impatto territoriale ex ante di questa politica è stata effettuata attraverso le simulazioni di un modello di previsione macroeconomica della crescita regionale, chiamato MASST[4]. Il modello simula i tassi di crescita regionali futuri per tutti i 27 Stati membri dell’UE più il Regno Unito e le loro regioni, e le relative disparità fra regioni dello stesso Paese, e fra Paesi dell’Unione.
I risultati delle nostre analisi suggeriscono che lo scenario della Nuova Politica Commerciale europea sarebbero tutt’altro che privi di una dimensione territoriale. Questa politica avrà impatti differenti su differenti gruppi di regioni, con conseguenti effetti sulle disparità regionali. In particolare, il reshoring delle attività manifatturiere favorirà i Paesi occidentali rispetto a quelli dell’Est. Inoltre, le disparità interne ai paesi tenderanno a diminuire rispetto ad uno scenario di riferimento[5]. Questo risultato è spiegato dal fatto che lo scenario della Nuova Politica Commerciale europea avvantaggerà le regioni manifatturiere, in particolare quelle dell’Est a vocazione manifatturiera, le regioni delle città di secondo livello, mentre penalizzerà le regioni capitali. Questa tendenza è così forte che compenserà l’effetto tra Paesi, innescando una diminuzione delle disparità totali.
La riduzione delle disparità regionali registrata in questo scenario non va necessariamente interpretata in maniera positiva. Infatti, essa sarebbe dovuta al rallentamento delle aree forti, con una conseguente peggior performance complessiva del sistema. In altre parole, l’obiettivo della riduzione delle disparità territoriali verrebbe raggiunto a spese dell’efficienza del sistema nel suo complesso.
[1] Si veda, ad esempio, Capello, R., Caragliu, A., & Panzera, E. (2023). Economic costs of COVID‐19 for cross‐border regions. Regional Science, Policy & Practice, 15(8), 1688-1702.
[2] COMMUNICATION FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT, THE COUNCIL, THE EUROPEAN ECONOMIC AND SOCIAL COMMITTEE AND THE COMMITTEE OF THE REGIONS Trade Policy Review – An Open, Sustainable and Assertive Trade Policy. 1-23.
[3] Si veda, ad esempio, Eliasson, L., & Garcia‐Duran, P. (2023). New is old? The EU’s open, sustainable and assertive trade policy. Global Policy, 14, 9-18.
[4] Per l’ultima versione del MASST, alla sua quinta generazione, si veda Capello, R., Caragliu, A., & Dellisanti, R. (2024). Integrating digital and global transformations in forecasting regional growth: the MASST5 model. Spatial Economic Analysis, 19(2), 133-160.
[5] Lo scenario di riferimento, presentato per la prima volta in Capello, Caragliu, & Dellisanti (2024), simula il risultato dei cambiamenti strutturali avvenuti negli ultimi anni (pandemia da COVID-19, conflitto in Ucraina), ma non quello della politica di OSA qui sintetizzato.