La cosiddetta “rivoluzione alimentare urbana”, ipotizzata da Moragues-Faus nel 2021, interessa oggi un numero crescente di città, imprese, associazioni e comunità. Di concerto con tutti gli attori e le comunità del territorio, molte autorità locali hanno adottato food policy e previsto strategie ed azioni per aumentare la sicurezza alimentare dei territori da loro amministrati e facilitare la transizione verso un sistema produttivo più inclusivo e sostenibile.
Questo impegno ha suscitato l’interesse di accademici ed esperti di questioni alimentari. Nei loro studi, essi pongono particolare attenzione a specifiche caratteristiche o fasi del ciclo di policy, come i modelli di governance e le istituzioni correlate (ad esempio, i Food Policy Councils). Il loro contributo alla riduzione delle catene di approvvigionamento alimentare e allo sviluppo di reti alimentari alternative (Marino et al., 2023). Al contrario, scrivono poco riguardo le altre fasi della food policy, dall’implementazione alla valutazione, e la loro valutazione (Marino et al., 2024).
A distanza di anni dall’avvio di queste politiche, tale lacuna non è più accettabile e richiede uno sforzo conoscitivo di approfondimento. Questa special issue vuole richiamare l’attenzione in particolare su due aspetti su cui i sostenitori saranno chiamati a riflettere a stretto giro: multiculturalità e innovazione nelle aree rurali.
Nel suo articolo “Parlare vegano: riflessioni su parole e linguaggi nel Veggie Food World”, Alessandra Micalizzi, invita gli attori locali a riflettere su come le politiche del cibo abbraccino diverse dimensioni del vivere quotidiano. A suo dire, scegliere di cosa cibarsi non è solo una questione strettamente alimentare, ma è rappresentazione di comportamenti e stili di vita che impattano molto sull’ambiente e sulle comunità locali. Sebbene la loro diversità sia nota, spesso viene sottostimata nelle decisioni pubbliche, a causa spesso della loro complessità o della carenza di strumenti adeguati di consultazione e di apprendimento o, peggio, di resistenze culturali e pregiudizi. Pertanto, approcci dicotomici, come il “veggie” o “non veggie” per l’autrice, o “urbano-rurale” che invece caratterizza la mia ricerca, non sono semplici scelte lessicali, compiute per aggirare difficoltà decisionali o conoscitive, ma strumenti per creare confini o alternative anziché realizzare ponti.
Proprio perché politiche dalla forte connotazione culturale, le politiche del cibo devono essere ripensate per tenere conto della diversità culturale delle comunità locali in cui vengono implementate. Per farlo, un possibile punto di partenza potrebbe essere proprio il ripensamento del linguaggio con cui si racconta e si tratta la diversità culturale e quindi quella alimentare. Scrive Alessandra Micalizzi, “Perché il dicibile definisce il pensabile e il possibile. Allora un lavoro non solo strettamente strategico – per finalità di marketing e di posizionamento dei prodotti – ma anche socio-culturale e socio-linguistico può favorire l’integrazione di precise scelte alimentari nelle pratiche, ampliando i confini di una comunità […]”.
Oltre all’approccio linguistico, anche l’approccio spaziale spesso si concentra sulla dicotomia città-campagna. Tale dicotomia spesso cela, in modo più o meno velato, una condizione di subordinazione della campagna alla città. A livello europeo, da tempo, si cercano nuovi paradigmi per risolvere tale disparità, e per far emergere nuove ed eterogenee relazioni con il territorio, le risorse naturali locali e gli attori che vi operano. Secondo Ganimede et al. (2024), il paradigma più rilevante è rappresentato dalla concretizzazione di un nuovo concetto di ruralità, attraverso “strumenti di innovazione rurale e pratiche di co-progettazione e co-innovazione che si mettono a sistema in rural network attorno al concetto di network societies”.
A detta degli autori, i vertical networks (dettati dalle pratiche agricole nella filiera alimentare e dalle risorse naturali) sono importanti quanto gli horizontal network (ossia l’integrazione delle economie non basate su processi agricoli in un set di processi che sfruttano spazi rurali e urbani). Solo attribuendo loro pari importanza, è possibile che lo sviluppo delle aree rurali integri le risorse locali, valorizzi la comunità di riferimento, e avvia quel processo di transizione verso la maggiore sostenibilità. Non è semplice, ma i buoni risultati ottenuti dal progetto “Oltrepò BioDiverso. La natura che accoglie” sono incoraggianti per la creazione di network rurale multidisciplinare e multisettoriale di successo.
Il progetto, sviluppato tra il 2017 e il 2020, ha riunito in un partenariato multidisciplinare 19 Enti no profit operanti in 17 Comuni dell’Oltrepò Pavese per realizzare progetti di open innovation allo scopo di proteggere la biodiversità ambientale locale, supportare il trasferimento di conoscenza, e quindi favorire lo sviluppo di innovative attività agricole e di ricerca dell’area a rischio di depopolamento. Gli autori sottolineano che alla base del progetto vi è era il modello di intervento aperto (basato sull’accesso alle risorse naturali come punto di partenza per il processo di riattivazione dell’Oltrepò), la valorizzazione delle risorse esistenti, il dialogo tra diversi attori e l’interscambio tra contesti urbani e aree interne. Quest’ultimo aspetto, in particolare, sottolinea la necessità di estendere il campo di osservazione delle politiche alimentari non solo ai contesti strettamente urbani, ma anche alle aree rurali circostanti.
Oltre che da rinnovate relazioni tra gli attori, l’innovazione nelle aree rurali può essere incentivata anche dall’introduzione di nuove colture. Nel loro articolo, Reguzzi et al. (2024) spiegano come queste possano generare reddito, seppur dopo una congrua sperimentazione in loco. Territori remoti o a rischio depopolamento o a perdita di diversità colturale sono costretti a cercare produzioni dalla più elevata produttività agricola, nel rispetto dell’ambiente, per scongiurare l’ulteriore degrado del territorio.
Nell’ambito di un progetto finanziato da Fondazione Cariplo, gli autori hanno sperimentato direttamente in aziende agricole della zona alternative colturali all’odierno. La scelta è ricaduta sulla Quinoa (pianta erbacea originaria del Sud America), perché la sua coltivazione non ha esigenze elevate (basso consumo idrico e di impiego di concimazioni azotate) e ha produttività elevate. Quanto rende rilevante questa sperimentazione, rispetto ad altre, è il fatto che è stata progettata, realizzata e poi valutata di concerto tra i ricercatori, i produttori, gli intermediari. Il dialogo continuo tra tutti loro è stata la chiave per il successo della sperimentazione.
Numero di Dite “Multiculturalità & innovazione”
- Ganimede, C., Reguzzi, M.C., Vercesi, A., (2024), Il progetto “Oltrepò BioDiverso. La natura che accoglie” come caso studio di attivazione di rural network a sostegno dello sviluppo socio-economico dell’area interna dell’Appenino di Lombardia,l Di.Te, novembre 2024
- Micalizzi, A., (2024), Parlare vegano: riflessioni su parole e linguaggi nel Veggie Food World, Di.Te, novembre 2024
- Reguzzi, M.C., Vercesi, A.; Ganimede, C.; Nicoli Aldini, R., Mazzoni, E., (2024), Nuove colture: esperienza di ricerca scientifica e dialogo con gli agricoltori nell’Appennino pavese, Di.Te, novembre 2024
Ulteriori approfondimenti
- Marino, D., Curcio, F., Felici, F., & Mazzocchi, G. (2023). Toward evidence-based Local Food Policy: an agroecological assessment of urban agriculture in Rome. Land, 13(1), 30.
- Marino, D., Vassallo, M., & Cattivelli, V. (2024). Urban food policies in Italy: Drivers, governance, and impacts. Cities, 153, 105257.
- Moragues-Faus, A. (2021). The emergence of city food networks: Rescaling the impact of urban food policies. Food Policy, 103, 102107.