Per “territorializzare” certe idee di “giustizia”, serve capire quali problemi debbano essere oggetto della giustizia legale (chi ha fatto cosa), e quali siano anche oggetto di giustizia sociale (chi può/deve fare cosa) e spaziale (cosa fare dove). In questo numero affrontiamo cosa voglia dire accogliere la sfida della “giustizia spaziale” da diverse prospettive, utili a stimolare e intervenire più efficacemente su alcuni problemi che affliggono diversi contesti urbani contemporanei.
Si parla molto oggi, forse eccessivamente, di “giustizia spaziale”. Questa breve nota invita a una riflessione critica su tale concetto con l’intenzione di suggerirne (anche nella teoria e nella pratica della pianificazione e delle politiche urbane) un uso più mirato e fuor di retorica.
Questo contributo sintetizza gli esiti di un’indagine sullo spazio ed il significato attribuiti al tema della giustizia spaziale nei corsi di laurea e post laurea in studi urbani delle università federali degli stati di Rio de Janeiro e di Goiás in Brasile. Nonostante, a livello teorico, emerga una buona diffusione del tema nei corsi di studi nell’università pubblica, tuttavia, gli intervistati hanno manifestato il timore che la maggior parte dei nuovi professionisti architetti-urbanisti siano poco attenti a questo a tema a causa delle pressioni del mercato e della grande diffusione delle università private nel paese.
Negli anni '80, Medtronic e Boston Scientific stabilirono stabilimenti a Galway, trasformando una città costiera precedentemente segnata dalla povertà in un cluster biomedicale globale. Il successo deriva dall'interazione tra progetti di investimento diretto dall’estero e politiche industriali, con l'Università di Galway che gioca un ruolo fondamentale nella formazione di una forza lavoro specializzata. Questa trasformazione ha cambiato Galway da periferia remota a centro di innovazione, fornendo utili indicazioni anche per molti distretti manifatturieri.
L'Emilia-Romagna è stata negli ultimi anni la regione più competitiva dell'economia italiana. Diverse imprese sono riuscite a integrare produzione e servizi con modelli di business avanzati, sfruttando competenze distintive, collaborazioni accademiche e finanziamenti europei. Fra gli elementi chiave del successo competitivo dell’Emilia-Romagna ci sono la presenza di imprese leader e di distretti manifatturieri di classe mondiale, la collaborazione con scuole tecniche e università, e un sistema finanziario collegato al territorio. Le politiche industriali e del lavoro hanno inoltre contribuito ad attrarre investimenti diretti esteri e ancorarli al territorio.
Così come l’energia non si disperde nelle trasformazioni di un sistema, il diritto edificatorio non si disperde nelle trasformazioni di un manufatto, rimanendo valido e legittimo ben oltre il suo ciclo di vita. Tutto ciò con implicazioni rilevanti sulla fiscalità, sulle politiche di riuso e sulle scelte individuali.
Il testo prende le mosse da una riflessione sugli esiti sistemici della ormai quasi venticinquennale stagione dei bonus edilizi nel nostro paese e propone alcune prospettive di innovazione di queste politiche entro una prospettiva di perequazione territoriale, redistribuzione del valore ed equità.
Il contributo indaga sulla condizione attuale e sulle prospettive future di riuso e di riqualificazione del patrimonio costruito in un momento storico segnato dalla transizione energetica, ecologica e digitale, e riflette sulle opportunità generabili dall’azione collettiva a scala di quartiere.
Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.
La rivista è aperta a coloro che ritengono di avere un contributo da offrire al dibattito. La collaborazione avviene promuovendo articoli di carattere puntuale e/o gruppi di articoli coordinati su un tema. I contributi hanno una lunghezza compresa tra quattro e seimila caratteri. Per ogni richiesta di approfondimento: info@dite-aisre.it
In anni recenti molti esponenti del mondo accademico e tra i policy makers si sono schierati contro la narrazione dominante che le zone marginali siano destinate ad un inesorabile destino di abbandono e lenta scomparsa. Esistono in realtà alcuni territori, che abbiamo definito ‘vibranti’, capaci di resistere alla tendenza allo spopolamento adattandosi alla loro perifericità. Comprendere quali siano gli elementi esogeni, o quali le risorse endogene su cui hanno fatto perno, diviene un importante fattore di conoscenza per chi ha la responsabilità di proporre strumenti per promuovere la coesione territoriale e ridurre le disparità territoriali.
La storia dell’ex Caserma Trieste racconta le politiche atte a riscattare quest’area abbandonata per farne un modello utile a realtà simili. Purtroppo, nel quadro geopolitico grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale italiano assume un nuovo ruolo e la retrocessione dei luoghi ex-militari alle comunità locali è più così certa.
I piccoli paesi appenninici ribollono di complessità e divengono luoghi fertili per territorializzare alternative culturali e socioeconomiche in tempi di transizione ecologica ed energetica. La dimensione di scala, i vuoti relativi e la posizione decentrata rispetto ai grandi centri antropizzati facilitano tali ambizioni. Attraverso la formazione di operatori di comunità, facilitatori territoriali e neo-popolamento si sperimentano trasformazioni ideologiche e materiali in spazi fragili e marginalizzati sul campo attraverso diversi progetti.